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Ddl Sicurezza, il vizio di confondere diritti e opinioni proprie

Corrado Ocone
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«Dai sit-in alla cannabis light: primo sì alla stretta sui diritti». Così titolava ieri Repubblica l’articolo sul sì della Camera al disegno di legge sulla sicurezza. Quello della “stretta sui diritti” è, in verità, un refrain: una frase fatta che a sinistra viene rispolverata in diverse occasioni. La ragione del suo successo è presto detta: chi la legga o la ascolti, non può non dedurne, per una sorta di automatismo mentale, che in Italia sia in atto una “svolta autoritaria”.

Il governo si appresterebbe pertanto, come ha prontamente commentato Chiara Braga, la capogruppo del Pd a Montecitorio, a varare norme «liberticide» che «reprimono il dissenso». Ci troviamo di fronte ad un vero e proprio sofisma, cioè ad un sillogismo che giunge a conclusioni false perché parte da una tesi falsa: che siano in gioco, appunto, i “diritti”, cioè qualcosa di “sacro” e che va sempre rispettato, a prescindere. La domanda che ci si dovrebbe porre, in prima istanza, è cosa siano propriamente i diritti. Essi pretendono, come è noto, di essere “universali”, “fondamentali”, “inalienabili”, pertinenti alla stessa essenza e dignità umana. Se sia veramente così è oggetto di discussione filosofica da almeno quattro secoli, e non è qui il caso di riprendere la questione.

Quel che però si può dire senza ombra di dubbio è che, sotto la loro bandiera, si sono combattute in passato importanti battaglie che hanno portato indubbiamente ad aumentare gli spazi di libertà: di espressione, di azione, di partecipazione. Il termine “diritto” stava a indicare una tappa raggiunta, la volontà di archiviare e andare oltre senza più metterla in discussione (il che, da un certo punto di vista, è antistorico e antipolitico).

 

QUESTIONI DI MORALE 

Quel che è poiaccaduto,adun certo punto della storia, è che i progressisti, per natura non amanti del conflitto fra opinioni avverse che è il sale della democrazia, hanno cominciato a considerare quasi tutte le loro idee “diritti” in modo da sottrarle al pubblico dibattito. Insomma, le loro idee politiche, opinabili come tutte le altre, sono state trasposte in un terreno metapolitico e sedicente “morale”. Chi osa contestarle è allora un “reazionario”, un “fascista”, un essere “pericoloso” da squalificare, cioè da eliminare già prima che entri nell’agone politico.

La parola “diritti” è diventata così una sorta di arma contundente, una pistola fumante puntata contro chi la pensa diversamente. Oggi essa viene brandita anche dove francamente c’entra ben poco, come è il nostro caso. Può essere considerato un “diritto”, ad esempio, bloccare una strada o una ferrovia, impedendo sistematicamente la libera circolazione delle persone? Può esserlo bloccare una grande opera pubblica voluta da un governo liberamente eletto? È un diritto coltivare e vendere sostanze stupefacenti?

 

DEMOCRAZIA E AUTOCRAZIA 

Sia beninteso, sui provvedimenti del disegno di legge approvato si possono avere idee diverse da quelle della maggioranza. Si può, ad esempio, credere che la sicurezza non sia una emergenza, oppure che si possa manifestare il proprio dissenso su checchesia non solo a parole ma anche con azioni che hanno un impatto pesante sulla vita degli altri. Tutto legittimo, saranno i cittadini a giudicare con il loro voto. Quel che però non si può, perché l’onestà intellettuale non lo permette, è porre sull’asse stato di diritto-autocrazia un rapporto che è invece tutto interno al primo, almeno in una democrazia forte e consolidata quale è quella italiana. In gioco non è qui la libertà, come si vorrebbe far credere, ma un diverso modo di concepirla e di dosare gli ingredienti che la garantiscono. I filosofi amano dire che quello fra sicurezza e libertà sia un rapporto dialettico, cioè non univoco e dalle mille sfaccettature. Per intanto, in un regime di insicurezza personale e sociale, la libertà non può esercitarsi. Secondariamente, la libertà, anche individuale, si esercita sempre in società: non può coincidere con l’arbitrio o il gusto personale ma deve finire nel preciso punto in cui, come diceva Kant, inizia la libertà degli altri.

 

E LA SICUREZZA? 

Che in Italia ci siano attualmente condizioni di insicurezza persino fisica molto maggiori rispetto a quelle di un tempo, è del tutto evidente. Basta fare un giro nelle periferie, o anche nelle stazioni delle grandi città, per rendersene conto. Se lo stato argina questa deriva, favorisce o danneggia la libertà dei più? Ancora: certe proteste reiterate, come il blocco delle strade, sono ascrivibili alla libertà di dissenso oppure questa dovrebbe manifestarsi in forme che non ledano la libertà dei più (ad esempio di circolare o andare a lavorare)? Una destra e una sinistra, a ben vedere, esistono proprio perché si dividono su questioni simili. Fare delle proprie opinioni dei “diritti” significa giocare sporco. Ed è comunque espressione di una mentalità, essa sì, illiberale. 

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