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Con Enrico Berlinguer il moralismo è entrato in politica e ci è rimasto

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Pur in debito professionale con Enrico Berlinguer per quello storico ”esaurimento della spinta propulsiva della rivoluzione d’ottobre”, cioè del comunismo, strappatogli in una tribuna politica televisiva di fronte al regime militare autoimpostosi dalla Polonia alla fine del 1981 per evitare una occupazione sovietica, non mi piacciono né mi convincono le ricorrenti santificazioni del leader comunista. Neppure quella riproposta più ancora che dal film su di lui appena presentato al festival romano del cinema, da certi commenti che gli sono stati dedicati. Come quello che intesta a Berlinguer la palestra della buona politica chiusa o tradita dopo la sua morte. Con tutto il rispetto dovutogli, per carità, e anche con la simpatia che ancora mi procura, ogni volta che la ritrovo nelle ricerche di lavoro, quella foto che lo riprese sulle braccia di un giovane Roberto Benigni, imitato molti anni dopo da un ben più possente Guido Crosetto con un’ancora più gracile Giorgia Meloni, continuo ad attribuire alla buonanima di Berlinguer, consapevole o inconsapevole che fosse stato, il ritorno in qualche modo del qualunquismo negli anni Ottanta, dopo la lontana fine di quello di Guglielmo Giannini. (...)

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