Diceva Agatha Christie: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Ovviamente la politica non è, o almeno non dovrebbe essere, un thriller. Nonostante ciò, se allineiamo 3 episodi avvenuti in tre diversi paesi europei, non possiamo non constatare che essi rispondono ad un medesimo copione: neutralizzare, per via giudiziaria, leader e forze politiche con un consenso maggioritario e quindi in procinto di assumere il potere.
All’inizio c’è stato il caso della Romania, dove l’elezione a capo di stato di Calin Georgescu prima è stata annullata e poi evitata eliminandolo dalla corsa politica per non meglio precisate “pressioni russe” sull’opinione pubblica. Più clamoroso il successivo caso francese ove a Marine Le Pen, in testa nei sondaggi, è stato proibito, forzando regole e consuetudini, di concorrere alle prossime presidenziali per il presunto cattivo uso di fondi europei. L’ultimo tassello è giunto qualche giorno fa dalla Germania, ove l’Afd, prima forza politica nei sondaggi, è stato messo sotto controllo dai servizi segreti in quanto forza politica “estremista” e in grado di “minacciare la democrazia” (una decisione che potrebbe preludere alla sua messa fuori legge). In tutti i casi ad essere colpiti, con decisioni che non trovano riscontro nei fatti, sono forze rappresentative di un’ampia fetta di popolazione.
Una domanda sorge spontanea: che modello di democrazia, o meglio di potere, ne emerge? Sentendo anche le dichiarazioni di molti leader, il primo paragone che viene naturale è con il “dispotismo illuminato” della fase terminale dell’ancien régime, quindi con un potere che si arroga il diritto di accompagnare per mano i cittadini come può fare un genitore con dei figli che ancora non hanno imparato a reggersi sulle gambe: «Decido io per te, ma lo faccio per il tuo bene e perché io solo so quale esso sia».
Si tratta, insomma, dell’ideale di uno “stato pedagogo”, cioè di un “paternalismo liberale” che proprio i teorici del liberalismo (da Kant a Humboldt) contribuirono a smontare nei suoi presupposti teorici. In verità, a parte questa importante affinità formale, quel che emerge dall’idea di “democrazia controllata” è soprattutto il rinchiudersi delle classi dirigenti europee nelle loro certezze, connessa alla volontà di conservare il potere che su quelle “certezze” si è nel tempo costruito. A ben vedere, questo arroccamento mette in crisi non solo la democrazia, ma anche l’elemento liberale che con essa si è coniugato nell’esperienza storica occidentale.
Uno dei capisaldi del liberalismo è infatti la “circolazione” delle élite, che è più radicalmente la necessità di concepire il campo politico come l’arena in cui si confrontano idee alternative di società. Senza alternativa, e quindi anche senza alternanza al potere, una democrazia liberale semplicemente non si dà. Si obietterà a questo punto che le alternative messe ora al bando sono anti-sistema, che cioè vogliono usare il sistema democratico per prendere il potere e poi affossarlo. A parte che non si può fare il processo alle intenzioni, basta un’analisi onesta del programma di questi partiti per rendersi conto che essi non sognano il ritorno a tragiche forme politiche del passato e che in esse l’elemento “estremistico” e anti-sistema è marginale o assunto in modo retorico. Sicuramente non è quello per cui li votano fette consistenti della popolazione. La democrazia ha fra l’altro la forza di correggere le spinte anti-sistema, che fra l’altro sono presenti a sinistra più ancora che a destra. Dimenticare questa verità, significa non avere fiducia in essa. E significa avere una mentalità autoritaria. È il tradimento delle élite ciò che dovrebbe far più paura e preoccupare