In un’interessante intervista al Venerdi di Repubblica, Massimo Cacciari ha descritto l’ostilità verso Nietzsche che, nel dopoguerra, aveva «tutta la cultura crociana e gramsciana» perché «lo considerava un profeta dell’irrazionalismo... irrimediabilmente destinato al suo uso fascista». Ma sono «tutte sciocchezze» sostiene il filosofo veneziano che fin dal 1976, con Krisis, ha contribuito a sdoganare Nietzsche a sinistra. «I vecchi comunisti», spiega, giudicarono il suo libro come «una sorta di rivalutazione del retroterra fascista». Però altri compagni furono incuriositi.
Alla fine, crollato Marx, ha vinto Nietzsche. Ora Cacciari dice: «Il vero mistero (è) come abbiano fatto i nazisti a digerirlo raccontandosi un Nietzsche a propria immagine e somiglianza». Secondo lui «c’è un equivoco grande quanto una casa... che inizia con il lavoro della sorella di Nietzsche – lei sì antisemita e nazista – sui frammenti. Fu lei a raccoglierli sotto il titolo “La volontà di potenza”, in una chiave tendenzialmente nazionalistica». Ma siamo proprio sicuri che i frammenti lì raccolti siano altra cosa rispetto all’opera di Nietzsche?
Davvero la sorella ha tutta questa responsabilità? Non si ha questa impressione leggendo, nell’edizione Bompiani della Volontà di potenza, il lungo e accurato saggio storico-filologico di Maurizio Ferraris. Nel capitolo intitolato «La sorella parafulmine»Ferraris scrive: «Si è innescato, di là dalle oggettive colpe di Elisabeth, il meccanismo della donna-parafulmine che attira su di sé l’aggressività suscitata dall’uomo cui sta a fianco». Del resto è difficile credere al ritratto che Cacciari fa del filosofo tedesco anche leggendo, nell’Anticristo, pensieri di questo tipo: «Che cos’è buono?
– Tutto ciò che eleva il senso della potenza, la volontà di potenza (...). Che cos’è più dannoso di qualsiasi vizio? – Agire pietosamente verso tutti i malriusciti e i deboli – il cristianesi mo...». Secondo Cacciari l’“Übermensch” di Così parlò Zarathustra non va tradotto “Superuomo”, ma “Oltreuomo” e significa «l’uomo che va oltre se stesso, supera la prigionia della rabbia, la schia vitù del malessere, l’angoscia del proprio isolamento».
Ma Domenico Losurdo, in un saggio uscito su Belfagor (30 settembre 2002) intitolato «Come si costruisce l’innocenza di Nietzsche», già criticava questa traduzione facendo notare che «il discorso immediatamente successivo di Zarathustra, nel condannare “l’egoismo dei malati”, che si attaccano ad una vita priva di valore e in tal modo aggravano la “degenerazione” (Entartung), così prosegue: “In alto va la nostra strada, dalla specie (Art) alla super specie” (Über-Art)».
Losurdo, riferendosi all’interpretazione di Vattimo, scrive che egli «trasforma in pura riflessione morale un discorso eugenetico non privo di brutalità». Un’altra interpretazione di Nietzsche opposta a quella di Cacciari e Vattimo? Il caso Nietzsche (Marietti) di René Girard e Giuseppe Fornari, che contestano proprio «quella santificazione postuma e deformante che era lui il primo a preparare».
Ma la sinistra di Vattimo e Cacciari oggi ha vinto. In realtà essa è parte di un fenomeno più vasto. Lo ha descritto Jan Rehmann in I nietzscheani di sinistra. Deleuze, Foucault e il postmodernismo: una de costruzione (Odradek edizioni). La prefazione di Stefano G. Azzarà è illuminante. La sinistra sessantottina, sentendosi coerente con i suoi presunti ideali libertari, è passata da Marx a Nietzsche. Sono opposti, ma hanno in comune una cosa: l’avversione al cristianesimo.
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