Lucia Borgonzoni: "Non tutti i film meritano i soldi dei contribuenti"

di Pietro Senaldigiovedì 12 giugno 2025
Lucia Borgonzoni: "Non tutti i film meritano i soldi dei contribuenti"
5' di lettura

«L’obiettivo non è tagliare i finanziamenti al cinema ma non buttare via i soldi dei cittadini. Non è questione politica ma di conti. Anche il ministero dell’Economia ci ha chiesto di mettere ordine in una situazione che era diventata fuori controllo».

Sottosegretario, attori e registi conosciutissimi accusano il governo di affamare il cinema, sostengono che il settore è in crisi...
«Sicuramente non sono in crisi loro, considerati i loro cachet...».

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Fa della demagogia?
«No, mi propongo di tutelare, valorizzare e aumentare l’occupazione del settore, ma in modo sano».

Cosa c’è di insano attualmente?
«Per legge il compenso di registi, attori e sceneggiatori di film finanziati dallo Stato non può superare il 30% dei costi complessivi. Questo ha innescato un meccanismo perverso: per pagare le star quanto volevano, alcune produzioni gonfiavano le spese di tutto e lo Stato, con il tax credit, metteva i soldi. Più che lo Stato sarebbe corretto dire i contribuenti, gli italiani...».

Le star sostengono che il cinema è un investimento, che crea lavoro, che ogni euro investito nel settore ne produce 3,5, quindi che comunque il carrozzone è conveniente...
«È un settore che, se ben gestito, produce ricchezza ma siamo arrivati a un punto in cui qualcosa andava fato perché in troppi ne hanno approfittato. Durante il Covid, per assenza di controlli, è saltato il tappo. Ora questo parametro è saltato, le produzioni sono arrivate a costare cifre che non possono più essere ripagate dal mercato. Ai tempi del governo Draghi, da sottosegretario io avevo chiesto all’allora mio ministro, il dem Dario Franceschini, di porre un tetto, ma lui non ha voluto. Sapeva che al giro successivo al suo posto ci sarebbe stato un esponente del centrodestra e ha voluto lasciargli la patata bollente senza inimicarsi attori e registi, con i quali si è sempre sostenuto reciprocamente».

Lucia Borgonzoni, illustra a Libero, reduce da due settimane di campagna stampa sugli sprechi del cinema italiano, che in otto anni ha preso 7,2 miliardi di finanziamenti pubblici, il disegno di legge che la Lega ha presentato a Palazzo Madama, a firma Roberto Marti, Andrea Paganella e Massimiliano Romeo. «Ringrazio la Lega», afferma la senatrice, «che ci dà la possibilità di parlare di numeri veri. È una riforma che mira a riportare la discussione nell’alveo solo tecnico. Non servono un ministero per il Cinema o un’agenzia esterna che decida quali film sostenere. Per una maggiore tempestività nei provvedimenti amministrativi è sufficiente dare, come faremo, più poteri al direttore Cinema per sbloccare la situazione, visto che oggi quasi tutto deve invece essere controfirmato dal ministro».

La legge punta infatti a velocizzare l’erogazione di contributi e incentivi, come richiesto da registi e attori, punta a una triennalità nel riparto del fondo per il cinema e istituisce una nuova procedura di nomina delle commissioni di esperti, oltre a ritoccare le misure in materia di credito di imposta. Non ultimo, prevede l’assunzione di personale per controllare le spese delle produzioni, «perché la gente costa, ma ancora di più costano gli sprechi» precisa Borgonzoni, che il 6 giugno prossimo, con il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, incontrerà i rappresentanti sindacali delle categorie del cinema, guidati da Claudio Santamaria e Beppe Fiorello, come delegati dei 94 firmatari della lettera con cui gli artisti un paio di settimane fa hanno chiesto udienza all’esecutivo.

Cosa vi direte il 6 giugno?
«Abbiamo sempre incontrato il mondo del cinema. Lo ascolteremo ancora e gli illustreremo quale strada si può intraprendere nell’interesse del settore. Ma l’incontro non è una sede di contrattazione, tanto meno un braccio di ferro dove più alzi la voce più ottieni. Sono vergognosi gli attacchi fatti al ministro usando temi e dati non veritieri».

Sottosegretario, i vip lamentano che il governo ha fermato tutto...
«Non mi pare proprio. Ci sono 46 set attualmente aperti in Italia. Tra i tanti ci sono Ridley Scott e Mel Gibson...».

Forse la situazione è difficile nel Lazio...
«La produzione oggi è sparpagliata in tutta la Penisola. Ci sono stati meno investimenti da parte delle piattaforme a livello mondale, esclusa Netflix per quanto riguarda l’Italia. E noi non possiamo certo sostituirci ai committenti».

Il settore dice che le produzioni sono spaventate e vanno all’estero...
«Non è così. Abbiamo un tax credit altissimo, al 40%. Le produzioni internazionali arrivano».

Qualcuno alza la voce per timore dei controlli sui budget dei set?
«Certamente è anomalo fare controlli dopo le riprese, come è stato fatto finora, e non prima. Anche per un fatto logistico: è difficile la verifica dei costi a posteriori, la congruità tra opere e spese va fatta prima delle riprese, se si vuole evitare lo splafonamento dei costi, che l’ultimo anno ha presentato un conto al governo di 400 milioni oltre ai 700 di stanziamento già previsto».

Qual è la nuova filosofia del governo rispetto al finanziamento al cinema?
«Molto semplice. Il disegno di legge contiene il concetto per il quale ci sono due tipi di film, quelli che hanno valenza culturale e quelli commerciali. Quelli culturali, tra cui ci sono anche opere prime e seconde e di giovani autori, vanno ai festival, vincono premi e li sosteniamo con contributi selettivi. Gli altri sono rivolti al mercato e devono attenersi alle regole del mercato. Non tutto ha valore artistico. E non tutto può essere trattato come un’opera prima sempre: contribuisco a finanziarti l’esordio, il secondo film, ma se continui a inanellare flop non puoi fare per tutta la vita il produttore a spese del contribuente».

Il disegno di legge conferma il tax credit?
«Lo prevede ma non si entra nel dettaglio. A prescindere dalla norma io, come sottosegretario, penso che sarebbe il momento di mettere in campo strumenti diversi di sostegno al cinema commerciale, come fanno altri Paesi».

Cosa suggerisce?
«Come succede nei Paesi Baschi, per esempio, lo Stato potrebbe usare la banca, come l’Istituto per il Credito Sportivo e Culturale per dare finanziamenti alle produzioni, che così avrebbero i soldi subito, con interessi più bassi e ovviamente a monte il controllo del ministero sul pagato reale e non sull’autocertificazione».

Sarebbe un bel colpo di rasoio...
«Non possiamo negare che siano stati fatti film finanziati dal denaro pubblico che avevano lo scopo principale di far lavorare la gente ma hanno incassato poco e culturalmente avevano un valore molto relativo. Questa agitazione di fronte alla prospettiva di confrontarsi con regole chiare e di mercato mi insospettisce. Non può essere un caso se la Guardia di Finanza sta indagando su oltre trenta società e 130 opere segnalate da noi, per un potenziale credito di imposta di quasi 250 milioni di euro».

Diranno che vuol togliere il lavoro alle persone...
«Nessuno intende farlo. Massimo rispetto per un settore che vanta 120mila addetti e nel quale, malgrado quanto detto da chi ci contesta, l’occupazione nell’ultimo anno è cresciuta del 3,5%».

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