OPINIONE

Beppe Sala vittima dei compagni e di se stesso: a Milano è partita la campagna elettorale

di Mario Sechisabato 19 luglio 2025
Beppe Sala vittima dei compagni e di se stesso: a Milano è partita la campagna elettorale
5' di lettura

Che cosa sta succedendo a Milano? È in corso l’ennesimo regolamento di conti all’interno della sinistra, quello di Beppe Sala non è (solo) un caso giudiziario, ma un dramma politico dove lui, il sindaco, è vittima di se stesso e dei suoi compagni che vogliono esibirne lo scalpo mantenendolo vivo, in carica e de facto politicamente commissariato, praticamente uno zombie.

La storia di Sala è l’esemplare caduta del riformismo a sinistra, è la parabola di una lunga vicenda cominciata all’ombra del Duomo, l’ascesa della “cosa socialista” che Bettino Craxi fece diventare una forza politica ricca di dinamismo e innovazione. Milano è sempre stata culla di passioni e rivoluzioni, una fabbrica di shock politici profondi, madre di trasformazioni di vario segno, con esiti spesso drammatici. Qui non a caso partì la liquidazione del socialismo di Craxi e venne cancellata la straordinaria avventura della “Repubblica dei partiti” (titolo di un importante libro di Pietro Scoppola ripubblicato dal Mulino) che dal Dopoguerra fino alla fine degli anni Ottanta aveva collocato l’Italia in Occidente, con la Nato e gli Stati Uniti e non con l’Unione Sovietica e il Patto di Varsavia. Milano non sta vivendo una crisi giudiziaria, ma politica, non c’è una nuova Tangentopoli, siamo in un altro periodo storico, qui è in scena la bancarotta del progressismo, il trionfo dei massimalisti della sinistra, la fine di ogni prospettiva moderata a sinistra in nome dell’ammucchiatissima che le opposizioni manderanno in campo contro Giorgia Meloni nelle elezioni politiche.

Oggi come ieri, nella partita perla sopravvivenza della Giunta Sala si cela un gioco ben più grande della “connection dei grattacieli”, sopra e sotto gli atti dell’indagine e il gossip dei salotti meneghini c’è una partita che riguarda il profilo politico e culturale della sinistra, l’opzione oggi è tra il campo largo e il campo santo.

Sala è un residuato bellico della battaglia interna tra i riformisti e l’ala radicale del Pd, il sindaco di Milano è uno sconfitto perché le forze centriste nei Democratici sono schiacciate dal massimalismo del partito di Elly Schlein che è a trazione sinistra -sinistra. In questo quadro, Sala è una testimonianza archeologica dell’esperimento del renzismo, è la “coda” finale di un sogno finito male, la sua parabola è la testimonianza diretta dell’impossibilità di tenere insieme lo sviluppo economico (rappresentato dalla svolta dell’architettura verticale della città) con la furia ideologica dell’utopia Green, la domanda di sicurezza che viene dall’uomo della strada con il mantra pericoloso delle frontiere aperte allo straniero, il necessario bisogno di capitali per reggere la competizione internazionale (di cui Milano in Italia è la guida solitaria) con le idee populiste della decrescita infelice. Sala in questa chiave oggi non è più una “risorsa” del Pd e della sinistra, ma un suo nemico interno da abbattere.

Non a caso Elly Schlein giovedì scorso ci ha messo un’intera giornata prima di manifestargli un briciolo di solidarietà, mentre il segretario cittadino del Pd, Alessandro Cappelli, ieri dopo averlo incontrato ha vibrato una frase che è una pugnalata alle spalle: «Noi abbiamo espresso al sindaco la necessità di cambiamenti concreti». Per il Pd c’è qualcosa che non va e, attenzione, non bisogna farsi distrarre dall’inchiesta sull’urbanistica quello è solo un innesco- il problema del Pd con Sala è di natura politica, il suo profilo non corrisponde all’ideale della segretaria Schlein e del gruppo dirigente del Pd a Roma. Il fallimento di Sala è politico, il suo tentativo di tenere insieme i descamisados dell’operaismo immaginario con la borghesia del Bosco Verticale è abortito.

L’oggetto misterioso, Beppe Sala, è stato rigettato dai compagni di lotta senza governo che pensano di tornare a Palazzo Chigi sognando un tragicomico assalto al Palazzo d’Inverno. All’opportunismo del Pd si associa la furia del Movimento Cinque Stelle, la cui base mozzaorecchi è già al lavoro per rinverdire i fasti dei girotondi e dei Palasharp. Quando lo scrittore Alessandro Ro becchi sul suo profilo su X pubblica il disegno di una ghigliottina («Garantisti sempre, ma Milano non ha bisogno di grandi progetti, semmai di piccole installazioni provvisorie. Allego progetto»), ogni discussione filosofica tracima nella gioiosa esecuzione in piazza.

Essere o ghigliottinare? Questo è il problema del “robecchismo” elevato a programma politico per superare l’anomalia a sinistra, il non -compagno Beppe Sala. È un dilemma che riguarda anche Giuseppe Conte, il quale deve decidere se tenere a bada il drago giustizialista o salirci in groppa e fare fuoco e fiamme nel mucchio. Ricordo al giurista Conte che alla fine le rivoluzioni mangiano i propri figli, legga “La morte di Danton”, il dramma scritto da Georg Büchner, vi troverà passaggi illuminanti come questo: «Il popolo è come un bambino, vuol rompere tutto per vedere cosa c'è dentro». E scoprire che non c’è nulla di quello che gli raccontavano i rivoluzionari. Il peccato originale di Sala, il suo ciclopico errore, è quello di un impossibile fusionismo politico a sinistra, la spericolata operazione di tenere incollati sul suolo di una città industriosa come Milano i nipotini di Greta Thunberg e gli investimenti del fondo del Qatar, le utopie da ong della Chiesa del Cardinal Zuppi e il lusso di via Montenapoleone, l’Assolombarda e il Leoncavallo. Quando Schlein ha ribaltato il Pd e il voto degli iscritti con quello delle primarie (bisogna ricordare che nel partito vinse Stefano Bonaccini, non lei), l’elaborato origami della maggioranza (e delle scelte politiche) che regge Sala ha preso fuoco. Schlein che afferma di stare con lui e anche con i pm è la surreale ambiguità elevata al cubo di un partito che vive il sindaco di Milano come un problema. Gli diranno «vai avanti», ma tenendolo alla catena e al prossimo acuto della Procura lo molleranno come un reietto, «Sala? Non è dei nostri».

Al suo posto valuterei bene questo scenario, per due ragioni: la prima, personale, Sala ha una storia diversa da quella dei post-comunisti e non può farsi trattare come un uomo d’apparato, subire l’onta della riduzione a prigioniero politico di un partito che non lo riconosce; la seconda, politica, Sala deve governare Milano per altri due anni e un mandato con una maggioranza pronta a fiocinarlo ogni volta che c’è da scegliere tra industria e centro sociale, è un supplizio che non può trasferire sui milanesi e i ceti produttivi che fanno di questa città un polo di attrazione internazionale. Attenzione, perché quello che accade in queste ore, quello che si fa (e disfa) a Milano riguarda anche la destra di governo. Quando Giorgia Meloni invita tutti a pesare bene ogni decisione, e a lasciar perdere le tentazioni giacobine - sa che la partita è di natura puramente politica e investe direttamente anche il centrodestra, perché Milano può anche andare a elezioni anticipate, ma chi oggi governa la nazione deve presentarsi davanti agli elettori con un programma di sviluppo internazionale e una cultura del pragmatismo che è saltata per aria nella giunta Sala. Le relazioni estere consolidate dal governo Meloni in questi tre anni possono essere un’eccezionale risorsa per Milano, a patto che la classe dirigente locale della destra sia all’altezza della sfida. Non è presto per parlarne, perché c’è un’emergenza e, comunque, il caso Sala è un acceleratore, lunedì il sindaco dirà ai milanesi cosa vuol fare, e nel farlo, qualunque sia la sua scelta, non continuerà più a governare, ma aprirà la campagna elettorale. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

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