Un momento per ribadire la lotta alla mafia come fondamento culturale, alla vigilia del trentatreesimo anniversario della Strage di Via D’Amelio in cui furono uccisi Paolo Borsellino e gli agenti di scorta. È il senso di “Parlate di mafia”, kermesse di Fratelli d’Italia giunta alla quarta edizione, organizzata dai gruppi parlamentari insieme all’Ufficio studi del partito.
Un appuntamento in cui gli obiettivi generali si sono incrociati con le storie personali. Arianna Meloni, responsabile della segreteria politica di Fratelli d’Italia, nel panel coordinato dal direttore del Secolo d’Italia Antonio Rapisarda ha ricordato quanto quel passaggio sia stato fondamentale per abbracciare l’impegno politico. «Il 19 luglio 1992 è una data simbolica perla mia generazione», ha raccontato. «Quelle immagini dolorose al telegiornale, l’idea che i cattivi ce l’avessero fatta, e poi quella frase di Caponnetto, gelida: “È finito tutto, non c’è più niente da fare”. Quella frase, invece, ci ha spinti a reagire». Ha dunque sottolineato l’eroismo civile di Falcone e Borsellino: «Sono i figli migliori della nostra nazione. Le loro storie vanno raccontate ai nostri figli, e i nostri figli ai loro figli. Oggi posso dire che non è vero che tutto è finito: grazie anche alla loro intuizione, esportiamo l’antimafia nel mondo».
Arianna Meloni ha rivendicato scelte politiche, insistendo su un messaggio ai giovani: «La criminalità non ha fascino, ti rende schiavo. La legalità libera, restituisce dignità. Dobbiamo fare una rivoluzione culturale». La presidente della Commissione Antimafia, Chiara Colosimo, ha approfondito il lavoro dell’organismo che presiede: «Abbiamo deciso di seguire due traiettorie parallele. Da una parte le verità storiche sulle stragi, perché senza verità non ci sarà mai pace. Dall’altra parte, l’attualità della lotta alle mafie, che non sono più quelle di trent’anni fa. Sono cambiate, e dobbiamo inseguirle nei fatti, non nei teoremi».
L’importanza della lotta alla mafia tra gli obiettivi del governo viene anche evidenziata dal capogruppo al Senato Lucio Malan: «Lotta alla mafia, impegno perla legalità e tutela delle forze dell’ordine sono stati al centro dei mille giorni di Governo Meloni. Fratelli d’Italia è sempre al fianco di chi difende la sicurezza dei cittadini, che non deve essere insultato come accade in alcune manifestazioni o magari mandato a processo perché inseguiva i delinquenti».
E l’omologo alla Camera, Galeazzo Bignami, ha osservato: «Lo dico con tono volutamente polemico. Se qualcuno può andare a trovare il mafioso in carcere è perché questo governo ha ripristinato il carcere ostativo ribadendo che lo Stato non è disposto a scendere a compromessi, questa è una sensibilità che la destra ha sempre avuto, noi non accettiamo lezioni da nessuno».
La lotta alla mafia, inoltre, si lega anche a un altro aspetto, il contrasto allo spaccio di stupefacenti, business per la criminalità organizzata. A questo proposito, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, nel panel coordinato dal condirettore di Libero Pietro Senaldi, ragiona: «Quando affrontammo il contrabbando, non ci limitammo a guardare i traffici internazionali. Andammo a colpire anche il contrabbandiere di strada. Oggi dobbiamo fare lo stesso con il narcotraffico, tenendo d’occhio ogni anello della filiera. Solo così ridimensioneremo il fenomeno».
Un tema delicatissimo è stato sollevato poi dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi: «In troppi fanno finta di non vedere, ma è un dato di fatto: nelle piazze di spaccio ci sono minori stranieri non accompagnati. Alcuni arrivano già con un preciso ruolo. Per certi gruppi criminali è più semplice inserirli nel mercato della droga che nella scuola». Piantedosi ha ricordato le misure del decreto sicurezza per rafforzare l’Agenzia dei beni confiscati: «Abbiamo seguito l’insegnamento di Falcone e Borsellino: colpire i patrimoni. Ma nel dibattito pubblico se ne parla poco, come se l’antimafia fosse solo memoria e non anche azione concreta».
L’evento è stato concluso dall’intervista del direttore del Tempo, Tommaso Cerno, al ministro della giustizia Carlo Nordio. Tema centrale la riforma della giustizia: «Ogni volta che si prova a cambiarla c’è uno sbarramento», ha sottolineato il Guardasigilli, «Ma noi non abbiamo paura. Vogliamo superare l’autoreferenzialità, rivedere il Consiglio Superiore della Magistratura, spezzare meccanismi di potere consolidati». Nordio la prende con filosofia: «Sappiamo che arriveranno critiche. Ma ogni attacco è una scarica di adrenalina... e alla mia età non fa neanche male».