In pubblico predicano le porte aperte agli immigrati e smentiscono chiunque parli di allarme sicurezza. In privato, invece, si lamentano dell’invasione di senzatetto e della criminalità notturna di certi quartieri. I compagni alla guida di Milano dicono la verità, ma solo quando si scambiano messaggi sul telefonino.
L’unica notizia che esce dalle carte dell’inchiesta sull’urbanistica - per ora così fumosa che non si capisce nemmeno quale sia l’accusa a carico del sindaco Beppe Sala - è che la sinistra milanese lontano dai riflettori non ne può più degli immigrati. Ovviamente usando un lessico diverso: non li chiamano “migranti” né “extracomunitari” né tantomeno “clandestini” (mica sono beceri leghisti, loro). Stefano Boeri, archistar ed ex assessore alla Cultura di Giuliano Pisapia prima della lite con dimissioni nel 2013, li chiama homeless, ma anche in inglese sempre di senzatetto parliamo.
I clochard. I barba. Le scarp de’ tenis. Nel 2018 Boeri scrive il seguente messaggio al sindaco Sala: «Se posso permettermi: bisognerebbe dire a Majorino che più trattiamo coi guanti homeless più ne arrivano. C’è una costante migrazione verso Milano, perfino Genova si sta svuotando». Sala risponde: «Capisco», promettendo poi di «fare il punto» a breve con Majorino. Il quale Majorino, all’epoca, era ancora assessore alle Politiche sociali ed era famoso per aver inventato la marcia per accogliere più immigrati in città.
Beppe Sala e Boeri, la chat dell'imbarazzo: bordate sui senzatetto
È il 12 agosto del 2018. Stefano Boeri scrive su whatsapp a Beppe Sala: «Se posso permettermi: bisognerebbe...DUE VOLTI
E dire che Boeri, quando si era candidato nel 2010 alle primarie contro Pisapia, aveva un programma fieramente immigrazionista: diritto di voto amministrativo, luoghi di culto per tutte le religioni, snellimento delle procedure per il permesso di soggiorno, consulte di stranieri in ogni quartiere. Tutte cose che poi le giunte dem si sono guardate bene dal fare. La sinistra della chat Boeri-Sala, la sinistra di buon senso, è al contrario lontana anni luce da tutte le dichiarazioni pubbliche dei progressisti milanesi. Quando si spengono microfoni e telecamere, la musica cambia. D’altronde non è un caso se nel centro di Milano, in quel Municipio 1 dove l’allarme sicurezza praticamente non esiste, a giugno i Sì al referendum sulla cittadinanza breve sono stati addirittura l’81%, contro un misero 18% di No.
Nei quartieri periferici, dove certi problemi sono più sentiti, perfino il popolo di sinistra andato alle urne su imput della Schlein si è diviso. A Muggiano i Sì sono stati poco sopra il 50%, così come a Triulzo Superiore o a Roserio, zone di confine. Anche riguardo al problema della criminalità fuori dalla Triennale, i messaggini di Boeri a Sala nel luglio 2018 sembrano scritti da un tipico milanese di centrodestra: «Ti segnalo una situazione di notte che è diventata insostenibile. Il questore ha appena fatto nove arresti ma lì servirebbe presidio. Provare con i militari? Davvero non vorrei ci scappasse il morto (vedi stanotte figlio Simona Ventura). Grazie scusa rottura». E Sala gli risponde così: «L’ho già detto alla Scavuzzo (la vicesindaco, ndr). Domani parlo personalmente con il questore. Ciao».
I MILITARI
I milanesi peraltro ricordano bene che è stata proprio la sinistra a smantellare i militari di “Strade sicure”, introdotti dal governo Berlusconi e dall’allora ministro della Difesa Ignazio La Russa nel 2008. Pisapia, appena eletto e con Stefano Boeri in giunta, decise di diminuire la presenza di soldati in città: addio ai pattugliamenti ai piedi, salvati soltanto i presidi fissi di stazioni e obiettivi sensibili. Si tolgono i militari, poi in privato si rimpiangono. Le chat “politiche” di Boeri frantumano anche il mito della “percezione”: quando da destra si solleva il problema sicurezza, i progressisti fanno spallucce e rispondono sempre che è solo una questione di “percezione”. Ma, a maggior ragione, chi amministra deve tenere in grande considerazione le paure dei suoi cittadini. Comprese quelle dei notabili Partito democratico, non così diverse in fin dei conti da quelle dell’odiata destra.