Caro Direttore, forse vale la pena fare un “punto” rispetto a un dibattito esploso in alcuni talk show televisivi nei quali la maggior parte degli invitati metteva la minoranza di fronte all’alternativa o di riabilitarsi usando e accettando alcuni teoremi, oppure di subire in diretta televisiva una autentica damnatio. I teoremi da prendere o lasciare in genere sono stati i seguenti: il genocidio da parte di Israele nei confronti dei palestinesi, la strage fascista di Bologna messa in atto da terroristi provenienti dall’Msi e quindi con la conseguente chiamata in causa delle responsabilità storiche e anche personali del premier Giorgia Meloni e infine la constatazione della evidente assenza di democrazia in Israele visto che un deputato alla Knesset è stato contestato fino a togliergli la parola per aver citato Grossman e di rimbalzo la sua drammatica confessione sul genocidio israeliano.
Il sottoscritto contesta tutti questi assiomi pur non riconoscendosi affatto nell’attuale maggioranza ma a onor del vero tanto meno nell’attuale opposizione per cui in caso di votazioni, non volendo astenersi, si verrebbe a trovare in una imbarazzante e difficile situazione. Partiamo dall’ultima delle situazioni citate: certamente è stata sgradevole la contestazione fatta nella Knesset al discorso di un singolo parlamentare, ma trarre da ciò la conseguenza che in Israele non esista democrazia ci sembra una forzatura inaccettabile.
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Caso mai in Israele esiste attualmente l’estremo opposto: mentre il Paese è in guerra, non dimentichiamolo mai, perla strage perpetrata dai terroristi di Hamas il 7 ottobre, si sono verificate e si verificano continue manifestazioni di massa che spesso contestano gli orientamenti di Netanyahu e quelli degli estremisti di destra che per parte loro non si fanno mancare nulla anche con provocazioni pericolose fatte nel cuore della religiosità ebraica e islamica che convivono sia pure conflittualmente da sempre.
Veniamo alla questione decisiva costituita dall’esistenza o meno in Israele di un genocidio nei confronti dei palestinesi. Questa ipotesi è stata contestata alla radice da un personaggio al di sopra di ogni sospetto anche per aver contestato in modo radicale gli orientamenti politici del governo Netanyahu. Ci riferiamo alla senatrice Liliana Segre che sul braccio ha un segno che testimonia il fatto che lei è stata una vittima di un olocausto difficilmente contestabile visti i milioni di morti che ha prodotto.
Malgrado questo oggi Liliana Segre è sottoposta ad attacchi incivili che testimoniano l’esistenza di un antisemitismo reale e militante che fra l’altro come abbiamo visto in molte occasioni si è tradotto nell’unica forma di squadrismo oggi in campo in Italia, quello dei gruppi Pal e pro-Pal che impediscono sostantivamente specie alle università la libertà di manifestazione del pensiero.
CONTESTAZIONE
Va distinta una durissima guerra, senza esclusione di colpi, nel corso della quale negli ultimi tempi Netanyahu ha fatto scelte inaccettabili sia sul terreno degli attacchi militari, sia sul blocco dei rifornimenti alimentari (scelte che vanno condannate e annullate) ma non c’è nulla che si esprime sotto forma di genocidio che ha caratteristiche sue proprie, nel senso nell’annullamento totale delle popolazioni investite senza che esse possano mettere in campo alcuna resistenza, come è avvenuto con i turchi nei confronti degli armeni, come è avvenuto a Srebrenica, nei confronti dei tuzzi, per non parlare evidentemente dell’esempio costituito dalla Shoah.
A contestare alla radice questa ipotesi per quello che riguarda la Palestina c’è per un verso il terrorismo armato tuttora messo in atto da Hamas che tortura e affama gli israeliani rapiti e sul terreno opposto l’esistenza di arabi con cittadinanza israeliana che lavorano ed esercitano la loro professione nel Paese. E veniamo alla sentenza anzi al complesso di sentenze perla strage di Bologna. Un dato preliminare: certo in uno Stato di diritto le sentenze vengono comunque riconosciute come valide ma sono suscettibili di critiche e di contestazione e nessuno può dare per buona e scontata la loro formula politica. Allora in molti articoli, libri e saggi le sentenze sulla strage di Bologna sono state sottoposte a critiche con molteplici motivazioni, in primo luogo per ciò che riguarda la definizione della P2 esse sono state contraddette alla radice da due sentenze della Corte d’Assise di Roma passate in giudicato. Questo nodo non è stato né affrontato né sciolto. Ma se passiamo dalle definizioni giuridiche alle ricostruzioni storiche non si può fare a meno di rilevare una differenziazione netta che riguarda la storia italiana tra quella dipanatasi drammaticamente tra il 1969 e il 1974 e ciò che era l’Italia nel 1980.
Fra il 1969 e il 1974 c’è stata una autentica strategia della tensione portata avanti dai fascisti di Ordine Nuovo (Freda e Ventura), dagli Affari Riservati, da spezzoni estremi di Cia (Angleton), di servizi inglesi con in più la presenza di emanazione dei colonnelli greci. La dottrina di quella strategia era destabilizzare per ristabilizzare e avvennero di conseguenza attentati, assassini, stragi. Nel 1980 l’Italia era del tutto stabilizzata, con i comunisti fuori dal governo. Perché mai la Cia e gli Affari Riservati del Ministero degli Interni avrebbero dovuto organizzare un attentato di quelle proporzioni? Per di più arruolando gli estremisti fascisti dei Nar. Ma anche su questo secondo piano vanno fatte quelle distinzioni che nel comizio in piazza, Bolognesi ha addirittura rovesciato.
Nessuno ha mai chiamato le Br come Brigate Comuniste perché, a parte qualche provocatore, era a tutti evidentemente che fra le Br e il Pci c’era una contraddizione radicale tant’è che esse gli giocarono contro come dimostrò l’assassinio di Aldo Moro. Ma sull’altro versante il rapporto dei Nar con l’Msi era altrettanto negativo. Del resto per quale ragione in quegli anni Giorgio Almirante e Enrico Berlinguer si incontrarono riservatamente proprio per scambiare informazioni e valutazioni nei confronti dei terroristi di opposto segno che si ritrovavano ai loro confini e che volevano emarginare ed eliminare.
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Ecco, caro Direttore, queste sono alcune valutazioni da parte di chi non si riconosce affatto negli opposti fanatismi che spesso dominano i dibattiti televisivi con il rischio però che prima o poi dalle parole si passi ai fatti. Siamo in una situazione paradossale: negli anni Sessanta, gli annidi piombo, il terrorismo era per larghi aspetti prodotto dall’interno stesso del nostro Paese anche come retaggio della guerra civile e dei nostalgici di essa collocati sulle opposte posizioni; oggi invece la violenza - vedi l’aggressione russa alla Ucraina e il terrorismo di Hamas a Gaza - è a livello geopolitico e ci circonda. Ma fortunatamente non ha avuto ancora una traduzione italiana. Spesso però le parole sono pietre e la violenza verbale dei deficienti che litigano in televisione ci auguriamo che non si traduca mai in qualcosa di peggio. Ma forse nei dibattiti converrebbe più ragionare invece di urlare.
*Presidente Riformismo e Libertà e direttore di Civiltà Socialista