Hai voglia a rompere la scatole a Salvini con la tiritera che era contro il ponte sullo Stretto di Messina. La tenacia del leader leghista, semmai, ha dimostrato quanto sia stata veritiera, reale, coerente, la svolta nazionale che ha impresso al Carroccio. Più stupore manifestano le varie posizioni della sinistra.
Oggi si “mobilitano” – con un corteo nella città siciliana con 32 gradi sotto il sole – ma non sempre è stato così. Ben tre leader tra Pd e Pds e due governatori meridionali rossi hanno espresso il loro favore per il progetto che ora comincia finalmente a mettersi in moto; ciascuno con le differenti motivazioni, ma certo non avremmo mai visto mettersi di traverso personalità come Massimo D’Alema e Piero Fassino, Matteo Renzi e Vincenzo De Luca, Michele Emiliano e persino Giuseppe Conte. Quest’ultimo con la consueta “coerenza”.
Tre governi – i due suoi, opposti, e quello di Draghi – tre ponti, potremmo dire. Il leader pentastellato ha alternato due no e un sì nel corso del tempo. In particolare, nel 2020, durante il suo secondo governo, in piena pandemia, emerse una sua apertura al dibattito, anche in risposta a pressioni politiche e industriali. Era luglio 2020: «Possiamo anche discutere del Ponte sullo Stretto. È un’opera che ha una sua ragionevolezza ingegneristica. Valuteremo». Aveva appena presieduto un vertice col Ministero dei Trasporti.
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Più spettacolari i predecessori del Pd con dichiarazioni nette che oggi sono sbianchettate da Elly Schlein. Piero Fassino nel 2005, in pieno governo Prodi e come segretario dei Ds, dichiarò che il ponte «non è un tabù» e che si poteva realizzare solo se accompagnato da infrastrutture serie in Sicilia e Calabria. Disse in un’intervista all’Unità: «Il Ponte sullo Stretto non è un tabù. Non è un’opera in sé da demonizzare. Ma non può diventare un alibi per non fare tutto il resto: strade, ferrovie, porti».
Se dopo vent’anni leggerà il progetto Salvini scoprirà quante opere infrastrutturali sono previste. Anche Massimo D’Alema, già segretario Pds, è stato tra i big sostenitori del Ponte. Accadde nel 2009, ne parlò in un convegno a Roma: «Il Ponte potrebbe anche avere un senso, ma solo se inserito in un piano coerente di sviluppo del Mezzogiorno». Ed è quello che vuole fare il governo Meloni.
Un altro ex leader del Pd fu smaccatamente favorevole, Matteo Renzi: nel 2016 dichiarò che «fare il Ponte ha senso, ma va fatto in un quadro di priorità nazionali». Ma no? E andò da Bruno Vespa a dire: «Faremo il Ponte sullo Stretto, ma non da solo: serve una strategia. Il Ponte ha senso se si inserisce in un grande piano perle infrastrutture del Sud». E su facebook ribadì: «Ponte sullo Stretto, sì ma con una visione». Oggi gli basterebbe la televisione.
LE CRITICHE A DE LUCA
Poi, i due governatori del Sud, Emiliano e De Luca. Per il presidente pugliese resta negli archivi del Foglio la sua frase «il Ponte non è il male assoluto», ovviamente col condimento delle altre opere, per non scontentare i suoi.
Il più netto Vincenzo De Luca. Maggio 2021: «Il Ponte si deve fare, punto e basta. È un’opera che serve all’Italia. Il resto sono chiacchiere da perdigiorno. Siamo stanchi dell’ambientalismo ideologico che blocca tutto». Ovviamente il presidente della Campania, il più determinato di tutti, fu criticato per la sua posizione considerata «eccessivamente filogovernativa» anche nei confronti di infrastrutture proposte da governi non egemonizzati dalla sinistra. E De Luca non si fermò, affermando che «il Mezzogiorno ha bisogno di cantieri, non di ideologia».
Nei nostri taccuini ci sono tante altre annotazioni su prese di posizione di esponenti della sinistra assolutamente favorevoli alla grande opera pubblica che unirà isola e penisola, vista da costoro come occasione di sviluppo per l’Italia. Oggi, invece, ci sono gli assatanati dello stop a tutto che, però, saranno sconfitti dai cantieri e dalla realizzazione del Ponte. Perché tutti sanno, persino i demagoghi della contrarietà, che questa è l’occasione da non perdere. Per tutti.