Dal taciuto piano pandemico alla debolezza del Ministero della Salute, dalla carenza di respiratori e guanti, passando per il mancato blocco dei voli dalla Cina e le titubanze sulle quarantene per i cittadini del Dragone. Nuovi verbali della Commissione d'inchiesta Covid uguale nuovi guai per l'allora governo giallorosso che si trovano, ahinoi, a gestire la pandemia. Dopo quanto emerso dalla deposizione del professor Giuseppe Ippolito, già direttore generale per la ricerca e l'innovazione in sanità del Ministero della Salute nonché componente della task-force Coronavirus, che ha sbugiardato la narrazione dell'ex ministro Speranza («decideva lui, non gli esperti»), ecco altri documenti a provare l'impreparazione dell'esecutivo.
Sono state desecretate le audizioni di Mauro Dionisio (16 aprile), direttore dell'ufficio di coordinamento Usmaf-Sasn (Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera e Servizio di assistenza sanitaria naviganti) nonché componente della task force Coronavirus, e di Andrea Urbani (13 maggio), già direttore generale della programmazione sanitaria del Ministero della Salute e anche lui componente della stessa task force. Un quadro a tinte fosche quello dipinto dagli esperti. No, l'Italia non era prontissima come diceva Giuseppe Conte. A partire dalla gestione dei cinesi in arrivo in Italia. «Mi risulta che l'ipotesi di imporre un blocco a tutti i passeggeri provenienti dalla Cina con voli diretti e indiretti non sia stato preso in considerazione», ha messo a verbale Dionisio. E l'ipotesi della quarantena così come messa in pratica da Giappone e Corea del Sud?
Covid, Roberto Speranza inchiodato dal suo ex consigliere: "Decideva tutto lui"
Il grande peccato? Che mancasse un’unica catena di comando chiara, prerogativa indispensabile per un’efficie...«Immagino che un approccio così energico come quello dei giapponesi qualcuno, col senno del poi, avrebbe anche potuto considerarlo, ma all'epoca l'idea di essere così rigidi e prevedere quarantenane non venne a nessuno». Un altro tasto dolente, anzi molto dolente, quello dei respiratori. «Ragionando con il senno di poi, sui posti letto non c'è stata carenza, ma sui respiratori sì. Ci fosse stata maggiore disponibilità di dispositivi non sarebbe stata una cattiva idea, ma la domanda sulla quale forse ci siamo trovati meno preparati, secondo me, è stata quella dei respiratori nei reparti di rianimazione», ha sottolineato Dionisio.
Quanto invece alla catena di comando, emblematiche sono le parole di Urbani, colui che aveva il compito di verificare l'implementazione dei servizi sanitari, quindi la crescita delle terapie intensive e dei posti letto: «Al Ministero della Salute esiste una delle direzioni più deboli. Le faccio un esempio: durante la pandemia molto spesso non riuscivamo a collegarci in videoconferenza, perché i sistemi saltavano e dovevamo spegnere il video. La Direzione particolarmente della Prevenzione non era strutturata, la direzione dei Sistemi informativi non ci supportava come era necessario in quel momento. Non c'era una regia nazionale sulla comunicazione». E a proposito del taciuto piano pandemico anti-influenzale del 2006, la “Bibbia” che avrebbe dovuto guidare le operazione - avrebbe, appunto - «è stato valutato non applicabile, ma non dame, era la Direzione generale della prevenzione del Ministero della Salute, in presenza di una possibile pandemia, a scegliere la cassetta degli attrezzi», ha spiegato Urbani, aggiungendo che «durante la mia presenza sia nella task force sia nel Comitato tecnico scientifico non ho mai sentito parlare di piano pandemico».
Nel 2019, un'autovalutazione del Ministero aveva dato il livello 5 a questo piano, dunque pareva tutto aggiornato e testato. Eppure non lo era. «Di certo, non è stato chiesto di fare verifiche sui piani pandemici di altri Paesi, se possono essere utilizzati nel nostro caso», ha sottolineato anche il professor Dionisio. «Seguendo gli impegni presi stiamo procedendo alla desecretazione delle audizioni dei membri della task force e del Cts, proseguiremo più avanti anche con ulteriori desecretazioni prima della ripresa dei lavori a settembre», annuncia a Libero il senatore di Fdi Marco Lisei, presidente della Commissione d'inchiesta Covid. «La carenza di ventilatori è stato uno dei problemi maggiori che ha dovuto affrontare il nostro Sistema sanitario nazionale. In questo caso il rammarico lascia lo spazio alla rabbia. In quel periodo, infatti, come abbiamo avuto modo di scoprire nel corso delle recenti audizioni, c'erano tanti bravi e volenterosi imprenditori che hanno convertito le loro aziende per realizzare dispositivi sanitari, eppure non furono mai contattati dalla struttura commissariale di Domenico Arcuri.
È il caso, per esempio, del dottor Federico Peluso, che partecipò a un bando di Invitalia, ricevette un finanziamento dallo Stato per produrre ventilatori ma non ricevette alcun ordine dal commissario Arcuri. Il trio Conte-Speranza-Arcuri dovrebbe chiedere scusa agli italiani per l'incompetenza e per i danni che una cattiva gestione della pandemia ha causato al nostro Paese», attacca Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori Fdi e componente della Commissione d'inchiesta. «È sconcertante scoprire che non vi fosse alcuna regia nazionale sulla comunicazione e che la direzione della prevenzione non fosse strutturata. Vi era una totale inadeguatezza nell'affrontare la crisi sanitaria in arrivo tanto che, per non allarmare i cittadini, l'allora governo presieduto dal capo dei Cinquestelle scelse di basare la propria comunicazione sulle poche, frammentate e probabilmente poco attendibili informazioni che arrivavano dalla Cina. È doveroso accertare se l'improvvisazione con cui è stata gestita la pandemia abbia avuto una incidenza sui decessi anche alla luce dei principi sanciti dalla Cassazione secondo cui il reato di epidemia può configurarsi anche per fatti omissivi», commenta invece la deputata Alice Buonguerrieri, capogruppo Fdi in Commissione Covid.