Dai Cinquestelle ai vecchi dem: quanti cinesi d'Italia a sinistra

I grillini difendono Baffino in piazza Tienanmen: "Vittima di un linciaggio vergognoso". Dagli accordi del 2006 alla "Via della seta" di Conte: compagni sempre succubi dei comunisti
di Massimo Sanvitovenerdì 5 settembre 2025
Dai Cinquestelle ai vecchi dem: quanti cinesi d'Italia a sinistra

3' di lettura

Magari ci fosse solo Massimo D’Alema a lisciare il pelo a Xi Jinping... In Italia sono tanti i fan del Dragone. Più i grillini dei piddini, a dimostrazione di come il comunismo faccia anche in cuori diversi da quelli degli eredi del Pci. E così, i primi a difendere la presenza di Baffino alla gran parata del dittatore cinese vestito in stile Mao in piazza Tienanmen (presenti anche Kim Jong Un e Vladimir Putin), sono stati proprio i pentastellati. «Io e D’Alema lontani su molte cose, ma il linciaggio che sta subendo è vergognoso. Andare oggi in Cina a parlare di pace e amicizia tra popoli è coraggioso: ben più comodo restare inerte e servile come questo governo verso Trump, Netanyahu e un’Europa armata e irrilevante», ha detto vicepresidente e deputata del Movimento 5 Stelle, Chiara Appendino. «Non ho sentito le stesse dichiarazioni di sconcerto quando il vice premier Salvini è andato a stringere la mano a Netanyahu che sta compiendo dei crimini di guerra», ha polemizzato invece la deputata Vittoria Baldino in diretta ad Agorà Estate. Nulla che stupisca visto il filo rosso che da sempre unisce il Movimento a Pechino. Come dimenticare, infatti, il memorandum d’intesa tra Italia e Cina sulla famosa “Via della seta economica” firmato a Roma nel marzo 2019? Un progetto orchestrato dal Dragone Cina per competere con gli Stati Uniti negli scambi col resto del mondo.

BACI E ABBRACCI
Erano i tempi del primo governo Conte. E c’era proprio il premier, insieme all’allora fidato ministro dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, a fare gli onori di casa a Xi Jinping e al presidente della Commissione nazionale di sviluppo e riforme He Lifeng. «È stato un grande successo, ringrazio di cuore il governo italiano», aveva detto ha detto il presidente cinese al sottosegretario Stefano Buffagni (anche lui del Movimento 5 Stelle) prima di salire sull’aereo che lo avrebbe portato a Palermo per la seconda tappa del suo tour italiano. Non erano mancate le polemiche, interne al governo gialloverde, con Matteo Salvini che aveva punzecchiato Giggino: «Bene il memorandum ma non è una competizione normale, non mi si venga a dire che in Cina vige il mercato libero, dove lo Stato non interviene nell’economia, nella giustizia e nell’informazione». Per fortuna, il governo Meloni straccerà quegli accordi scongiurando un’eventuale egemonia politica e culturale (oltre che economica).

E il Partito democratico? Da Elly Schlein in giù (quasi) nessuno ha proferito verbo sulla visita dell’ex presidente del Consiglio a Pechino. «Ci è andato da privato cittadino...», ha provato più di un dem a gettare acqua sul fuoco. La Cina comunista, però, è forse l’unico collante che tiene uniti i progressisti, dal Pd ad Avs passando per il Movimento 5 Stelle. Il tutto in chiave anti-americana, o meglio anti-trumpiana, con gli esagerati allarmismi sui dazi a fare da sottofondo. Hanno voltato le spalle agli Stati Uniti, storici alleati, e abbracciato il Dragone per fare un dispetto alle temibili destre.

Sardoni, schiaffo a D'Alema: "Provo dell'imbarazzo per quella foto"

Massimo D'Alema a fianco di Vladimir Putin e Xi Jinping. L'ex presidente del Consiglio ha preso parte alla parat...

LE LEZIONI DI ROMANO
Non più tardi di un paio di mesi fa, un altro ex premier di sinistra, Romano Prodi, colui che nel 2006 (ministro degli Esteri era D’Alema) aveva spalancato le porte all’invasione cinese nel nostro Paese firmando il primo accordo bilaterale sullo scambio tecnologico che ha affossato migliaia di piccole aziende italiane impossibilitate a competere, aveva esaltato la Repubblica popolare cinese con queste parole: «Direi che quel che è accaduto al recente congresso del Partito comunista è assai importante: il primo ministro nel suo discorso ha ripetuto un numero considerevole di volte, mai tante nella storia cinese, l’espressione “aumento dei consumi”. Non siamo sicuri che questo possa avverarsi, ma è un fatto nuovo: per loro si può riequilibrare la diminuzione dell’export con l’aumento dei consumi interni. Un primo, implicito passo per rendere più praticabile una eventuale, ora lontana, collaborazione con l’Europa. Secondo perno, gli investimenti cambiano: non più case ed infrastrutture ma tecnologia». E poi una chicca: «Per la prima volta nella mia vita non ho avuto bisogno del visto per entrare in Cina, mentre per andare ad Harvard ho chiesto il visto all’ambasciata americana. Un paradosso che qualcosa ci dice». Gli utili idioti di Xi Jinping, alle nostra latitudini, non mancano affatto. Purtroppo.