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La sinistra si spacca pure sul caso Almasri

La sinistra italiana non ha un argomento forte contro il governo. Ne ha tanti d’impatto medio e piccolo, però, e se per ognuno di essi le cose andassero come sperano Elly Schlein, Giuseppe Conte e gli altri, l’effetto a palazzo Chigi si avvertirebbe eccome
di Fausto Cariotivenerdì 10 ottobre 2025
La sinistra si spacca pure sul caso Almasri

(Ansa)

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È la storia di coloro che «van por lana y vuelven tresquilados», vanno per tosare e tornano tosati, e il Don Chisciotte di Miguel de Cervantes,  in continua lotta contro la realtà, è la loro metafora. Ieri mattina a Montecitorio, con la votazione che ha negato l’autorizzazione a procedere per i ministri Piantedosi e Nordio e il sottosegretario Mantovano, è stato scritto un nuovo capitolo. La trama, a suo modo, è semplice. La sinistra italiana non ha un argomento forte contro il governo. Ne ha tanti d’impatto medio e piccolo, però, e se per ognuno di essi le cose andassero come sperano Elly Schlein, Giuseppe Conte e gli altri, l’effetto a palazzo Chigi si avvertirebbe eccome. Una raffica di colpi può fare più danno di una palla di cannone.

Così hanno preparato la loro artiglieria. La spallata della magistratura italiana e internazionale, con la premier e due ministri denunciati alla Corte dell’Aja per concorso in genocidio, il richiamo quotidiano alla piazza pro-Gaza, le elezioni regionali, gli ostacoli frapposti dai giudici alla politica dell’immigrazione, la tenuta dei conti pubblici: nessuno di questi strumenti è decisivo, ma insieme possono logorare una coalizione che governa da tre anni. È persino normale che accada, come mostra la storia repubblicana. Cominciarono così le parabole discendenti dei governi di Silvio Berlusconi. Il momento culminante avrebbe dovuto essere «l’autunno di lotta e di piazze» che ad agosto Schlein aveva annunciato a Repubblica. Quello in cui «tutte le forze alternative alla destra» avrebbero dimostrato di poter vincere in ogni regione contesa, o almeno nell’«Ohio» delle Marche. Il «lungo autunno giudiziario» che secondo Domani, il quotidiano di Carlo De Benedetti, si sarebbe rivelato «una via crucis per la premier». Quando il momento è arrivato, però, nessuna di quelle pallottole è andata a segno. Anzi, quelle che avrebbero dovuto fare più male hanno colpito chi le aveva sparate.

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Il caso Almasri aveva tutte le caratteristiche del “silver bullet”, il proiettile magico. Un voto segreto dell’aula nei giorni più tesi tra i partiti della coalizione, quelli in cui si scelgono (e si affossano) le candidature per le prossime regionali. Ideale per inviare un segnale a Meloni colpendo personaggi vicini a lei, come Carlo Nordio e Alfredo Mantovano. Non per mandarli a processo, s’intende, ma quanto basta per farle capire che l’appoggio dei partiti di governo non è scontato. Mentre la sinistra, almeno su questa vicenda, sinora era sembrata unita. Il ritorno dei franchi tiratori della maggioranza, un grande classico delle cronache parlamentari italiane, era ciò che serviva all’opposizione per dire che i suoi avversari sono agli sgoccioli. È andata che i franchi tiratori ci sono stati, ma nella minoranza. Il voto che ha negato l’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Piantedosi è stato condiviso dagli eletti di Italia viva, che lo hanno subito dichiarato. Ma i deputati che si sono espressi per fermare il procedimento a carico di Nordio e Mantovano sono stati una ventina più del previsto: un folto gruppo di esponenti di sinistra si è schierato nascostamente con la maggioranza, che ancora una volta ha saputo fare testuggine attorno ai suoi.

Così l’occasione che avrebbe dovuto menomare il governo ha finito per rafforzare Meloni e svelare nuove debolezze tra i suoi avversari. Questo nelle stesse ore in cui il piano di pace voluto da Donald Trump, nel quale la presidente del consiglio non ha mai smesso di credere, è stato condiviso da Israele e da Hamas, sgonfiando l’argomento polemico su cui la sinistra ha investito di più. Tutto ciò non significa che ora la strada per il governo sia in discesa. Al contrario: vuol dire che il redde rationem sarà il referendum sulla riforma costituzionale della giustizia che si terrà in primavera, ultima occasione prima delle elezioni politiche. Una sorta di giudizio di Dio agli occhi dell’opposizione parlamentare, piazzaiola e giudiziaria. Il peggio lo vedremo da qui ad allora. Prepariamoci.

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