Ai benpensanti pulsa la giugulare a vedere la pace portata da un presidente americano repubblicano con la passione per le betoniere: «Hamas non ha firmato la pace per Landini, né per Albanese che insulta la Segre, né per Greta con la Flotilla – ha detto ieri Giorgia Meloni alla chiusura della campagna elettorale in Toscana – c’è una persona da ringraziare: Trump, che come i presidenti repubblicani la guerra la fa finire». E, durissima, ha proseguito: «La sinistra non è riuscita a votare la mozione» a sostegno del piano per la pace, l’unica speranza in due annidi guerra, «dopodiché ha detto di sì anche Hamas. La sinistra italiana è più fondamentalista anche di Hamas. Sono più estremisti degli estremisti, prigionieri di un radicalismo ideologico».
La premier, invece, «complice della pace in Palestina», ha scritto Arianna Meloni su Instagram, sta facendo i «primi passi» verso la pace, così li ha definiti l’inquilino della Casa Bianca nel presentare il più importante trionfo diplomatico in Medio Oriente dai tempi degli Accordi di Abramo, potenziato dalla vastità della platea degli attori in campo. Proprio per aver sostenuto l’iniziativa Usa, aver tessuto relazioni con tutti gli Stati coinvolti e non aver riconosciuto lo stato di Palestina, la premier «è stata invitata dal presidente egiziano Al Sisi», ha detto ieri il ministro degli Esteri Antonio Tajani, al vertice di lunedì a Sharm el-Sheikh. Insieme con i leader di Germania, Francia, Regno Unito, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Turchia, Arabia Saudita, Pakistan e Indonesia, Meloni parteciperà «alla cerimonia di firma ufficiale del cessate il fuoco: è la dimostrazione che l’Italia è protagonista della costruzione di pace» e della ricostruzione di Gaza «con gli aiuti umanitari e la governance della nuova fase», ha aggiunto il vicepremier.
Giorgia Meloni "invitata in Egitto per la firma": la sinistra impazzisce
La premier Giorgia Meloni sarà protagonista di un evento storico: lunedì prossimo parteciperà in Eg...Con delirante tempismo la sinistra (non un campo largo, ma «un Leoncavallo largo», ha accusato Meloni) sciopera per le armi che tacciono e sembra quel soldato giapponese, Hiroo Onoda, che continuò a combattere nelle Filippine per 29 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale perché si rifiutava di credere che il conflitto fosse finito. Con formidabile lungimiranza invece Palazzo Chigi ha capito, fin dall’inizio della legislatura, il ruolo centrale del Mediterraneo per il nostro Paese e, di conseguenza, dell’intero Medio Oriente. Le radici di questa cognizione affondano nel concetto di “Mediterraneo allargato”, ovvero l’allargamento dello spazio geopolitico dell’Italia lungo le rotte marittime globali – perché il nostro mare rappresenta la più breve via di comunicazione tra l’Occidente e l’Oriente – e la crescita degli interessi economici e di difesa.
La strategia di Meloni parte dall’Europa e, convintamente atlantista, guarda a ovest, verso l’America; a est, verso l’Indo-Pacifico attraverso il Golfo Persico e il Canale di Suez; a sud, verso l’Africa e, appunto, il Medio Oriente. Il ruolo dell’Italia come “ponte” («La nostra testa è un pezzo dell’Europa centrale – disse il presidente al Forum Risorsa Mare nel 2024 – mentre i nostri piedi sono immersi nel Mar Mediterraneo») ha plasmato il Piano Mattei, che ha la sicurezza energetica tra i suoi pilastri, e oggi la pace a Gaza, perché l’instabilità regionale impedisce di promuovere le opportunità economiche e la gestione dei flussi migratori. Trump e Meloni sono contraddistinti dalla praticità. L’uno invece di astratte negoziazioni e ipotetici accordi costituzionali tra due stati, promette un piano su cui israeliani e palestinesi possono ricostruire le proprie vite e il cui orizzonte politico include il diritto degli abitanti di Gaza all’autodeterminazione (con buona pace di coloro che lo accusano di avere uno stile diplomatico transazionale e prepotente). L’altra ha gettato le basi per il rinnovo dei legami con gli stati del Golfo, grazie alle visite in Arabia Saudita, in Barhein (la prima volta di un presidente del Consiglio nel piccolo regno del Golfo), in Tunisia, in Turchia e, a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, l’incontro con l’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad Al Thani, e il presidente siriano Ahmed Al Sharaa. Due facce della stessa strategia: sostenere gli sforzi di mediazione di Doha su Gaza e aprire il dossier per la ricostruzione in Siria, mentre l’Italia rafforza il suo ruolo geopolitico nel Mediterraneo, con anche la Libia nel mirino (a Istanbul, lo scorso agosto, Meloni ha preso parte a un trilaterale con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il primo ministro del governo di unità nazionale della Libia Abdulhameed Mohamed Dabaiba).