Ora pure saltellare è una cosa da fascisti. Una provocazione in stile camicie nere. Un attentato alla Costituzione. Sì, perché i veri democratici tengono i piedi ben piantati per terra. E non scherzano mai. Proprio mai. Succede, in pratica, che al termine del comizio organizzato dal centrodestra a Napoli è partito il coretto “chi non salta è un comunista”. E a “zompettare”, sul palco, sono stati anche i leader della coalizione, a cominciare dalla premier Giorgia Meloni. Così, ridendo e giocando un po’... Il problema è che a sinistra, come spiegato in maniera definitiva da Silvio Berlusconi, non sanno nemmeno scherzare. E quindi, su questa cavolata, ci hanno costruito il solito castello di indignazione e rancore.
«Ma li avete visti?», ha tuonato Sandro Ruotolo, baffuto europarlamentare del Pd: «Sul palco a gridare “chi non salta è un comunista”, mancava solo il “siete delle zecche” rivolto a noi del campo democratico. Sembravano dei fascistelli in gita. E invece no: erano la presidente del Consiglio e vari ministri, lì, a Napoli, a dare il peggio di sé». Può bastare? Non ancora. «Una scena imbarazzante», ha continuando Ruotolo in un crescendo partigiano, «da balilla del ventennio catapultati su Marte: tutti insieme, appassionatamente, nel capoluogo della Campania a chiedere il voto per le regionali. Proprio loro, quelli dell’autonomia differenziata.
Proprio loro che, a una settimana dal voto, rispolverano condoni e promettono di aumentare di 100 euro le pensioni minime solo a chi vive in Campania. Presidente Meloni, ca nisciun è fesso». Insomma, pare di capire che quelli del centrodestra non dovrebbero nemmeno fare campagna elettorale...
SPUNTA BERIZZI...
In soccorso di Ruotolo è arrivato poi Paolo Berizzi, da sempre molto attento all’argomento fascismo. «È un errore di lettura», ha spiegato sui social, «derubricare i balletti e i saltelli di Meloni e Tajani a Napoli sul coro “chi non salta è un comunista” a una cialtronata improvvisata. Meloni, in generale, vince perché incarna quella roba lì, il tifo, la pancia, le grida, la curva, la tribù della fiamma». E ancora: «La scenetta triste è la rappresentazione perfetta dell’italiano che, come se fosse sempre allo stadio o in osteria, alza la voce, la butta in caciara, noi contro di loro, e i famosi comunisti di Berlusconi. Che in Italia non esistono più. Mentre di fascisti purtroppo è pieno». Ahi, ahi, eccolo qui Berizzi che alla fine si tradisce. La curva, l’osteria, il “noi contro di loro” ai compagni vanno benissimo, anzi, ne sono i massimi interpreti contemporanei.
Solo che i “nemici” non devono essere i comunisti, ma devono essere i soliti fascisti. In questo caso sì che è concesso alzare la voce e buttarla in caciara, cosa che i progressisti fanno praticamente tutti i giorni. Con una differenza sostanziale, però. I leader del centrodestra hanno ballato sul coretto “chi non salta è un comunista”, ma non usano questo argomento per screditare l’avversario in Italia e all’estero lanciando improbabili allarmi democratici. E lo hanno fatto col sorriso sulle labbra, un po’ come oggi lo facciamo noi di Libero. Che differenza coi musi lunghi, gli sguardi rabbiosi e le lacrime versate sul manifesto di Ventotene da certa sinistra...
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Proseguiamo la nostra carrellata con Giuseppe Conte («Fatti, non saltelli, grazie»), il dem Arturo Scotto («Meloni ha dato l’ennesima prova di equilibrio istituzionale») e Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe e, come si legge in rete, «personalità di internet». Che scrive: «Ma quelli che saltavano erano (tutti) fascisti?». La risposta è molto semplice: no. A meno che non si voglia tentare di far passare per pericolosi squadristi perfino Antonio Tajani e Maurizio Lupi. La domanda di Cartabellotta, casomai, va ribaltata: ma tutti quelli che hanno reagito stizziti, si sono offesi perché alla fine sono ancora dei poveri comunisti?




