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Il premier sfida i sindacati: Avanti senza di voi

I veti di Cgil e Confindustria bloccano la riforma del Lavoro: Monti invita la Fornero ad abbandonarli al loro destino

Andrea Tempestini
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«Alla fine grazie alla Cgil smantelleranno l'articolo 18, alla faccia dei compromessi che avevamo raggiunto in queste settimane». Le parole di uno dei rappresentanti delle parti sociali che ieri si è «sorbito» circa tre ore di incontri informali con la Fornero (primo round dalle 10 alle 11, secondo dalle 14 e 30 alle 16 e 30 ai margini del convegno “Cambia Italia” di Confindustria) sintetizzano al meglio l'ennesima giornata di passione sulla riforma del lavoro. Attese tante, risultati zero. Da una parte resta il veto della Marcegaglia (al suo ultimo discorso ufficiale, molto politico, da leader di viale dell'Astronomia) sulla flessibilità in entrata: «La buona flessibilità non va penalizzata, burocratizzata e fatta costare di più, perché vuol dire diminuire il tasso di occupazione». Tradotto dal confindustrialese: le imprese non vogliono accollarsi i maggiori costi previsti per dare più garanzie a contratti a termine e apprendistato e chiedono che i nuovi ammortizzatori (cassa integrazione ordinaria e indennità di disoccupazione da 1.120 euro per 12 mesi) vadano a regime nel 2017 e non nel 2015. Dall'altra quello della Camusso, sulla flessibilità in uscita: «Siamo belli lontani da un accordo sull'articolo 18, non è mai stato possibile che si chiudesse martedì». Tradotto dal sindacalese: si possono toccare le procedure (processi più brevi) ma non la sostanza dei licenziamenti. E del resto il segretario non può presentarsi con un sì al cosiddetto modello tedesco, è il giudice che decide tra reintegro e indennizzo nel caso di licenziamento economico e disciplinare (restano salvi i motivi discriminatori), al direttivo del 21 marzo dove la Fiom, ma anche la scuola e alcune camere del lavoro l'aspettano con i fucili spianati. E così nel guado ci restano Cisl, Uil e Ugl che più di tutti nelle ultime settimane hanno cercato di trovare una mediazione. Bonanni invoca un passo indietro: «La proposta che abbiamo fatto di distinguere i licenziamenti di natura economica da quelli discriminatori è messa in discussione dagli opposti estremismi. Sono molto preoccupato e chiedo a tutte le parti di riconvergere sul buon senso». Mentre Angeletti è meno speranzoso: «Non scommetterei soldi sull'accordo». Ma soprattutto nel pantano rischiava di rimanerci il governo che infatti è corso subito ai ripari. Come? Monti prima ha chiesto ai sindacati «di cedere qualcosa», poi ha ribadito che «la prossima settimana si chiuderà», quindi, sulla scorta delle provocazioni («l'emergenza non è finita») dell'economista Giavazzi sul Corriere ha firmato una delega in bianco alla Fornero per definire la riforma anche senza l'avallo dei sindacati.  «Se pressioni delle corporazioni o di colleghi ministri dovessero chiederle un passo indietro – ha puntualizzato il premier - Elsa Fornero dovrebbe, con lo stile e la determinazione che la caratterizzano, abbandonarli al loro destino». Una questione di contenuti certo, ma anche di tempi: entro venerdì Monti vuol chiudere la partita sul lavoro. Perché dopo c'è la missione di una settimana in Corea del Sud, Giappone e Cina dove prenderà il via un road show planetario per illustrare a mercati e imprenditori i successi del governo. Pensioni e liberalizzazioni, certo, ma soprattutto un nuovo impianto di welfare e un meccanismo più certo e rapido sui licenziamenti che invogli a investire nel Belpaese. Attenzione però alle sorprese. Da qui a una settimana c'è ancora tempo e in una trattativa che ci ha abituati a strappi improvvisi potrebbe succedere di tutto. Anche che  le parti sociali cedano all'ultimo appello che SuperMario ha lanciato dall'Aquila: «Mi auguro che la prossima settimana Confindustria e sindacati superino le loro differenze». Appuntamento a martedì 20 per la prossima puntata. di Tobia De Stefano

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