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Se la demenza dipendeda un deficit dell'udito

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Oltre 7 milioni di italiani e 590 milioni di persone nel mondo convivono con un deficit dell'udito e vanno incontro a un rischio maggiore di sviluppare forme di demenza

Maria Rita Montebelli
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Non è certo una buona notizia, ma come conferma il professor  Roberto Bernabei, Direttore Dipartimento per l'Assistenza Sanitaria di Geriatria, Neuroscienze e Ortopedia dell'Università Cattolica di Roma e Presidente di Italia Longeva “numerosi studi hanno documentato una forte associazione tra ipoacusia e deterioramento cognitivo nella persona anziana. In particolare, Lin e colleghi hanno seguito per un periodo di sei anni un campione di oltre duemila individui anziani e hanno documentato per i soggetti ipoacusici un incremento del 24% del rischio di decadimento cognitivo rispetto ai soggetti normali. È risultato che tale rischio è associato in maniera direttamente proporzionale alla severità dell'ipoacusia”. Un connubio, quello tra udito e cervello, sordità e demenza, che fa paura: e la conferma viene dal Consensus Paper “Sentire bene per allenare la mente”, promosso da Amplifon e presentato oggi a Milano: oltre 7 milioni di italiani e 590 milioni di persone nel mondo convivono con un deficit dell'udito e vanno incontro a un rischio maggiore di sviluppare forme di demenza. Il pericolo di decadimento cognitivo è direttamente proporzionale al livello di ipoacusia: può aumentare fino a 5 volte nei casi più gravi di sordità e per ogni peggioramento dell'udito di 10 decibel si registra una crescita del rischio di demenza di circa 3 volte. Un legame forte. Tra ipoacusia e demenza intercorre un legame misterioso e reciproco. Si stima, infatti, che in 1 caso su 3 la demenza - che oggi colpisce 36 milioni di persone nel mondo – possa essere causata da ipoacusia, ma anche il decadimento cognitivo può essere responsabile di una progressiva perdita uditiva. “Oggi sappiamo che tra ipoacusia e demenza esiste una relazione bidirezionale – spiega il professor Alessandro Martini, Direttore Dipartimento di Neuroscienze e Organi di Senso e Professore Ordinario di Otorinolaringoiatria, Azienda Ospedaliera Università di Padova - e che un grave deficit uditivo è in grado di aumentare di ben 5 volte, in maniera indipendente rispetto ad altri fattori, il rischio di sviluppare demenza. Dobbiamo quindi intervenire tempestivamente sul danno uditivo, con opportuni test audiometrici e i giusti apparecchi acustici, in modo da contrastare il più possibile il decadimento della funzione uditiva. Rallentare anche di un solo anno l'evoluzione del quadro clinico, porterebbe a una riduzione del 10% del tasso di prevalenza della demenza nella popolazione generale, con un notevole risparmio in termini di risorse umane ed economiche”. Soluzioni e barriere culturali. I risultati del Consensus Paper “Sentire bene per allenare la mente” suggeriscono che è possibile ritardare l'invecchiamento cognitivo tramite l'adozione di semplici rimedi, come l'uso di apparecchi acustici e una maggiore attenzione verso la prevenzione e l'identificazione precoce della sordità. “Occorre riflettere sulla valenza della riabilitazione acustica, che non interviene solo sulla funzione uditiva, ma è anche utile per ridurre, contrastare e rallentare la progressione di disordini cognitivi di vario tipo e grado. E in ogni caso i pazienti con apparecchio acustico hanno dimostrato, indipendentemente dall'esito sui disturbi cognitivi, un decorso migliore in termini di mantenimento delle relazioni sociali, lavorative e affettive”, aggiunge il professor Martini. Eppure, gli apparecchi acustici sono fortemente sottoutilizzati nel nostro Paese: si stima che l'età media degli italiani “portatori” di apparecchi acustici sia di 74 anni contro una media europea di 60,5 anni. “È un problema culturale, che necessita di un'operazione di informazione e sensibilizzazione della popolazione. Se un bambino sente poco è automatico suggerire una soluzione acustica, se un cinquantenne non riesce più a leggere il giornale è automatico che inforchi gli occhiali: è mai possibile che su oltre 7 milioni di italiani ipoacusici solo 700.000 portino gli apparecchi acustici?”, conclude il professor Bernabei. “Con la presentazione di questo Consensus Paper - dichiara Franco Moscetti, AD del Gruppo Amplifon – l'obiettivo è di fare cultura, informare e sensibilizzare la popolazione per sottolineare da un lato come la soluzione sia spesso a portata di mano e dall'altro per combattere lo stigma e l'auto-isolamento delle persone con ridotta sensibilità uditiva. In linea con la mission aziendale di Amplifon che, da leader mondiale nel settore delle soluzioni uditive, si impegna da oltre 60 anni per migliorare la qualità di vita di chi convive con un disturbo dell'udito”. (LARA LUCIANO)

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