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Tumore del pancreas: il killer invisibile

Dopo anni di studi clinici fallimentari, finalmente si riaccende la speranza, affidata ad un farmaco high-tech

Maria Rita Montebelli
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E' uno dei tumori più difficile da trattare, ma anche da scoprire. Perché non ci sono test di screening validi per il tumore del pancreas, un organo affondato nella cavità addominale, tra le pieghe dell'intestino. “Il posto ideale dove nascondere qualcosa nel tuo corpo, se non vuoi che si trovi”, ci scherza su amara Julie Fleishman, presidente e amministratore delegato del ‘Pancreatic Cancer Action Network' (PANCAN), da lei stessa fondato all'indomani della morte del padre. Aveva solo 52 anni suo padre e tra la diagnosi di tumore del pancreas e il suo funerale passarono appena 4 mesi. “Una cosa che ho trovato e trovo ancora inaccettabile”, afferma decisa Julie Fleishman, una donna minuta dallo sguardo fermo verso il futuro e teso verso l'appuntamento con il 2020, anno entro il quale il PANCAN si è dato l'obiettivo di arrivare a raddoppiare la sopravvivenza dei pazienti colpiti da tumore del pancreas. Come? Nell'unico modo possibile: supportando in tutti i modi la ricerca, raccogliendo fondi attraverso mille iniziative, ma soprattutto facendo conoscere al mondo, ai possibili pazienti ‘inconsapevoli', ai politici, alle istituzioni, alla gente comune l'esistenza di questo ‘mostro', invisibile e mortale. E i risultati si cominciano a vedere: negli ultimi vent'anni è aumentato di 7 volte il numero dei ricercatori impegnati su questo fronte e le ricerche pubblicate, l'attività di advocacy del PANCAN ha generato un aumento del 500% dei fondi federali dedicati alla ricerca sul tumore del pancreas ed ha elargito borse di studio per oltre 9 milioni di dollari; l'associazione di Julie inoltre, che oggi ha 100 dipendenti ed ha appena aperto la sua prima filiale internazionale in Giappone, ha assistito circa 70mila pazienti e relative famiglie attraverso uno speciale programma dedicato ai pazienti. Ma la ciliegina sulla torta, il successo più ambito è stata la battaglia senza esclusione di colpi che ha portato il presidente Obama a mettere la sua firma sotto il Relcitrant Cancer Research Act, diventato legge il 2 gennaio di quest'anno; una delle poche proposte di legge diventate realtà negli ultimi anni (nel corso del 112° Congresso, su 10.500 proposte di legge presentate, solo 193 sono diventate legge, meno del 2%),  che garantirà la creazione da parte del National Cancer Institute americano di una task force per intensificare gli sforzi della ricerca contro i tumori più letali, da quello del pancreas a quello del polmone. Una legge salva-vita per i pazienti colpiti dai tumori al momento meno curabili, insomma. L'anno scorso in Italia sono stati diagnosticati circa 11.500 nuovi casi di tumore del pancreas (il 3% di tutti i nuovi tumori). Nelle donne oltre i 75 anni questo è uno dei cinque tumori più frequenti (5% di tutti i tumori). La sua incidenza è in aumento sia nei maschi che nelle femmine (rispettivamente +1% e +1,3%/anno). Il tumore del pancreas al momento è quello che ha la peggior sopravvivenza a 5 anni, tra tutti i tumori ‘big killer'. Solo il 5% dei pazienti a 5 anni dalla diagnosi è ancora in vita. E' al momento anche l'unico tra i cinque tumori più mortali, a mostrare un aumento sia di incidenza che di tasso di mortalità. “Il grande problema di questo tumore – ammette il professor Stefano Cascinu, presidente dell'AIOM (Associazione Italiana Oncologia Medica) è che non ne conosciamo ancora bene la biologia e che arriviamo a fare diagnosi sempre troppo tardi. Il tumore del pancreas anche quando è ancora di piccolissime dimensioni, è in grado di dare metastasi, cioè di diffondere a distanza. Tra le cause più importanti ci sono il fumo di sigaretta (almeno il 25-30% di questi tumori deriva dal fumo), la dieta ricca di grassi e l'obesità. Stiamo cercando di sviluppare strategie nuove e complesse di trattamento, che comprendano chemioterapie, terapie a target e radioterapia, anche perché possiamo intervenire chirurgicamente sono nel 20% dei casi (e comunque anche in questo caso solo il 5% dei pazienti operati è ancora vivo a 5 anni)”. “Grazie alla collaborazione con i gastroenterologi – spiega il professor Joseph Herman, direttore della ricerca clinica presso il Dipartimento di Radioterapia Oncologica e condirettore della clinica multidisciplinare pancreatica della Johns Hopkins University - oggi disponiamo di nuovi strumenti per fare diagnosi, come la ecoendoscopia e la CPRE (endoscopia retrograda colangio-pancreatica), attraverso i quali possiamo anche andare a prelevare un pezzetto del tumore, per tipizzarlo non solo dal punto di vista istologico ma anche molecolare. Bastano poche cellule tumorali per fare il profilo genetico del tumore (sono circa un centinaio i geni che possono predisporre a questo tumore); sapere che circa il 20% di questi tumori ha un'attivazione della via AKT/mTOR, o che presenta mutazioni di alcuni geni (ATM, BRCA 1 e 2, KRAS, p53, ecc) sarà d'aiuto per personalizzare la terapia di un determinato paziente, utilizzando nel cocktail terapeutico anche alcuni farmaci mirati contro questi bersagli molecolari (le cosiddette terapie a target). La presenza di particolari mutazioni genetiche inoltre aumenta la risposta del tumore alla radioterapia; se il paziente è portatore di quella mutazione, si può anticipare la radioterapia che consentirà di ‘sterilizzare' il tumore o rimpicciolirlo, così da mettere in condizione il chirurgo di operarlo. La radioterapia causa un danno alla doppia elica del DNA delle cellule tumorali, che non permette loro di replicarsi. Alcuni farmaci amplificano questo danno direttamente o impedendo alla cellula di mettere in opera dei meccanismi di riparazione di questo danno.  Un esempio sono i cosiddetti PARP inibitori, farmaci usati nel tumore della mammella, che rendono il tumore più sensibile alla radioterapia. Tra le novità nel campo della radioterapia, una delle più promettenti è la SBRT (Stereotactic body radiation therapy), che permette di irradiare con grande potenza dei campi estremamente ristretti; questo consente di essere molto aggressivi contro il tumore, risparmiando al contempo i tessuti circostanti, in particolare l'intestino. Per via endoscopica, andiamo a prelevare un pezzetto di tumore con un ago e allo stesso tempo mettiamo all'interno del tumore un marcatore che ci permetterà poi di indirizzare con grande precisione la radioterapia in quel punto. In questo modo possiamo abbreviare il ciclo di terapia (5 giorni anziché 6 settimane), perché possiamo dare un dosaggio più alto e più mirato. Abbiamo appena completato un trial con questa tecnica che presenteremo tra un paio di mesi al congresso dell'American Society of Radiation Oncology (ASTRO). Un'altra possibilità viene dal cyber-knife. Tra le tecniche emergenti c'è anche la terapia protonica che richiede però un macchinario molto costoso.” Sul fronte della terapia, le buone notizie, dopo un'ecatombe di studi negativi, vengono dallo studio MPACT (Metastatic Pancreatic Adenocarcinoma Clinical Trial), presentato al congresso ASCO di Chicago. Questo studio di fase III ha dimostrato che associare il nab-paclitaxel alla gemcitabina (la terapia ‘standard' per il tumore del pancreas) aumenta sia la sopravvivenza libera da malattia che la sopravvivenza globale dei pazienti. MPACT è un trial clinico internazionale (l'Italia ha partecipato con il San Raffaele di Milano) che ha arruolato 861 pazienti colpiti da carcinoma pancreatico, randomizzandoli a ricevere nab-paclitaxel e gemcitabina oppure gemcitabina da sola. I pazienti trattati con l'associazione, hanno presentato un aumento del 59% nella sopravvivenza a un anno (35% versus 22%) e un tasso di sopravvivenza raddoppiato a due anni (9% versus 4%) rispetto a quelli trattati con la sola gemcitabina. Nei pazienti trattati con l'associazione di farmaci inoltre si è osservata una riduzione del 31% nel rischio di progressione di malattia o morte con un valore mediano di sopravvivenza libera da progressione di malattia (PFS) di 5,5 mesi (contro i 3,7 mesi dei pazienti trattati con gemcitabina da sola) e un tasso di risposta globale (ORR) del 23% (rispetto al 7% della gemcitabina da sola). “ E' un piccolo passo in avanti – commenta il professor Cascinu – ma decisamente significativo, visto che per il tumore del pancreas non c'è stata nessuna novità terapeutica negli ultimi vent'anni”.  (LAURA MONTI)

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