Cerca
Logo
Cerca
+

Farmaci 'salva-vista':la luce in fondo al tunnel

Il ranibizumab approvato in Europa anche per la neovascolarizzazione coroideale miopica

Maria Rita Montebelli
  • a
  • a
  • a

Il loro arrivo è stato salutato come una rivoluzione assoluta nel trattamento di alcune gravi malattie degli occhi. E oggi, a distanza di appena sette anni, le terapie intraoculari con anti-VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor) sono considerate dagli esperti e dai pazienti che ne hanno beneficiato dei veri e propri ‘salva-vista'. È per questo che il ranibizumab, un frammento di anticorpo monoclonale diretto contro il VEGF (il fattore di crescita responsabile della formazione di nuovi vasi anomali a livello della delicata superficie retinica) si è ormai imposto come il trattamento per eccellenza di malattie cancella-vista quali la degenerazione maculare umida legata all'età, l'edema maculare diabetico e la trombosi della vena centrale della retina. Più di recente il farmaco è stato approvato dall'ente regolatorio europeo (ma in Italia non ne è stato ancora autorizzato il rimborso dall'AIFA per questa nuova indicazione) per il trattamento della neovascolarizzazione coroideale miopica (CNV), una grave complicanza che interessa il 5-10% dei pazienti con miopia patologica e che è caratterizzata dalla formazione di vasi anomali al di sotto e intorno alla retina. Questi vasi, rompendosi, possono provocare emorragie retiniche, oppure consentire uno stravaso di liquidi all'interno della retina; entrambe queste condizioni provocano un grave deterioramento della visione centrale, quella che ci permette di leggere, di guidare o di vedere il viso della persona con la quale stiamo parlando. La CNV è la principale causa di cecità tra le persone di etnia asiatica (in particolare tra i cinesi) e la 3°-5° causa di cecità tra i pazienti caucasici al di sotto dei 50 anni d'età. “Chi è affetto da questa complicanza – spiega il professor Adnan Tufail, oculista presso il Moorfields Eye Hospital (Gran Bretagna) – presenta un progressivo declino dell'acuità visiva che può arrivare ad una compromissione gravissima nell'arco dei successivi dieci anni, se non trattata. Finora questa condizione veniva trattata con la terapia fotodinamica con verteroporfina (vPDT) o più raramente con tecniche chirurgiche o con la fotocoagulazione laser. Trattamenti che stabilizzano il problema, ma che raramente portano ad un miglioramento della visione”. Ora tutto ciò potrebbe essere presto archiviato, alla luce dei risultati dello studio di fase III RADIANCE, che ha dimostrato la superiorità del ranibizumab rispetto alla terapia con vPDT. A distanza di un anno, i pazienti trattati con questo farmaco, somministrato per iniezione intraoculare (in media i pazienti dello studio hanno ricevuto 2 trattamenti nell'arco di un anno e non hanno avuto bisogno di ripetere il trattamento nel corso dei successivi 6 mesi di follow up) , hanno visto migliorare la loro acuità visiva di 14 lettere (in pratica 3 righe delle tavole optometriche). Il ranibizumab è al momento l'unico anti-VEGF approvato per questa indicazione e potrebbe rappresentare per i pazienti con questa grave complicanza della miopia patologica un trattamento definitivo. “Il ranibizumab – spiega il professor Paolo Lanzetta, Direttore scientifico dell'Istituto Europeo di Microchirurgia Oculare e Direttore della Scuola di Specializzazione in Oftalmologia, Università di Udine - è il farmaco anti-VEGF a somministrazione intraoculare più utilizzato tra gli ‘on-label'. In Italia è stato somministrato a migliaia di pazienti, al punto che il numero di questi trattamenti, sta superando quelle degli interventi di cataratta. Il trattamento viene effettuato in ambulatorio ed è assolutamente indolore per il paziente; la puntura intraoculare viene infatti effettuata dopo aver somministrato delle gocce di collirio anestetico. E' fondamentale naturalmente che il tutto avvenga in condizioni di massima sterilità e a questo riguardo abbiamo appena pubblicato su ‘Oftalmologica' insieme ad un panel di esperti internazionali, delle linee guida per le iniezioni intraoculari. Il ranibizumab – prosegue Lanzetta – blocca la crescita di nuovi vasi e riduce la permeabilità vascolare alla base dell'edema retinico. È molto importante naturalmente la diagnosi precoce; campanelli d'allarme sono un repentino calo della vista e la distorsione delle immagini durante la lettura. In presenza di queste condizioni è bene rivolgersi subito all'oculista che, attraverso esami strumentali quali la fluorangiografia e soprattutto l'OCT (una specie di TAC della retina), confermerà la diagnosi. Gli anti-VEGF – conclude Lanzetta – sono dei veri e propri farmaci salva-vista; solo una chiara presa di coscienza di questa rivoluzione in oftalmologia da parte degli organi regolatori e degli operatori del  sistema sanitario potrà permettere ai pazienti l'accesso in tempi adeguati al trattamento di patologie retiniche così invalidanti”. (STEFANIA MONTI)

Dai blog