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Nella cura dell'ipertensione“l'aderenza è fondamentale”

Il professor Massimo Volpe (nella foto) ci spiega cos'è questa diffusissima ma sottostimata condizione e illustra come, unendo in un'unica compressa diversi principi attivi, si aiutino i pazienti

Maria Rita Montebelli
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Oltre un miliardo di persone nel mondo soffre di ipertensione arteriosa e si stima che questo numero impressionante sia destinato a crescere fino ad arrivare a un miliardo e mezzo nel 2025, dunque tra meno di 7 anni. Si tratta di una condizione insidiosa, tanto da ‘meritarsi' il primo posto  tra le cause prevedibili di morte prematura. Occorre fare di più e occorre che tutti gli attori coinvolti nella prevenzione delle conseguenze di una pressione arteriosa troppo alta siano bene informati su come gestirla. Il professor Massimo Volpe, presidente della Società italiana per la prevenzione cardiovascolare (Siprec) ci aiuta a fare chiarezza su questo ‘killer silenzioso' Professor Volpe, quando è possibile parlare di ipertensione? Le linee guida americane emanate nel 2017 dall'American heart association (Aha) hanno spostato l'asticella della ‘normalità' verso il basso: in questo documento si definisce pressione ‘normale' una sistolica inferiore a 120 e una diastolica inferiore a 80, mentre si ha una pressione ‘elevata' quando i valori di sistolica compresi tra 120 e 129 e mentre quelli di diastolica rimangono inferiori agli 80. Si comincia a parlare di vera e propria ipertensione superata questa soglia, in particolare di ipertensione di stadio 1 in caso di sistolica compresa tra 130 e 139, e diastolica compresa tra 80 e 89, di ipertensione di stadio 2 in caso di valori di sistolica superiori a 140 e di diastolica superiori a 90. In realtà il trattamento con farmaci è limitato a chi più di 140/90 mmHg e nello stadio 1 ad alto rischio È importante sottolineare che non si tratta solo di ‘pignolerie' da addetti ai lavori: una pressione arteriosa troppo alta aumenta il rischio di infarto, inoltre i soggetti ipertesi sono più propensi a sviluppare patologie cardiache, malattie renali croniche e persino demenza. Sono questioni davvero vitali. In Italia si fa abbastanza per controllare la popolazione affetta da questa condizione? Purtroppo, in Italia, solo il 50-60 per cento dei pazienti viene trattato in modo adeguato. È un problema che esiste anche nel resto dell'Europa e pertanto  bisogna accrescere la consapevolezza di medici e pazienti e gestire in modo sempre più appropriato questa condizione, anche perché se si riesce a ad abbassare la pressione di 20 mm/Hg, si riduce il rischio di eventi cardiovascolari del 40 per cento. E noi oggi abbiamo tutti gli strumenti per farlo. Ci può parlare delle terapie contro l'ipertensione? A seconda della gravità dell'ipertensione e dell'efficacia della terapia nel raggiungimento del target pressorio ottimale, il paziente deve assumere uno, due oppure tre farmaci diversi. Le classi di farmaci solitamente usati in monoterapia e in terapia combinata sono diuretici tiazidici (es. clortalidone o indapamide),  beta-bloccanti, calcio-antagonisti, ACE-inibitori e sartani. Ma la cosa fondamentale nel trattamento dell'ipertensione è soprattutto l'aderenza alla terapia; bisogna considerare che più farmaci prende un paziente, meno sarà per lui semplice mantenere l'aderenza. Considerando che nel 70-80 per cento dei pazienti, la combinazione di due o più terapie si rivela molto più efficace nel raggiungimento dei target pressorio, rispetto alla monoterapia, anche al primo stadio, è evidente che si tratta di un punto molto importante. Anche in questo caso le linee guida dell'AHA ci vengono in aiuto. In che modo? Le nuove linee guida raccomandano di ricorrere all'associazione di più principi attivi a dose fissa in una singola compressa. In parole povere ‘unendo'due o tre farmaci in un'unica compressa. Grazie a questa strategia per il paziente è molto più semplice rimanere aderente alla cura e, di conseguenza, raggiungere il controllo pressorio e gestire in modo ottimale l'ipertensione. (MATILDE SCUDERI)

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