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Arriva l'assistente virtualeper chi soffre di Alzheimer

Nasce ‘Chat yourself', un aiuto che proviene dalla tecnologia per chi affronta le prime fasi della malattia e per le loro famiglie: l'esperienza del chatbot è già disponibile su Facebook

Maria Rita Montebelli
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Sono più di 600 mila gli italiani affetti dalla malattia di Alzheimer, una patologia che attacca il bene più prezioso: la memoria. Da oggi i social si alleano con gli specialisti, per affiancare agli avanzamenti della ricerca e della diagnostica quelli della tecnologia. A supporto delle malati prodromici di Alzheimer saranno infatti messi a disposizione dei chatbot, software che funzionano come ‘assistenti virtuali' perché grazie all'intelligenza artificiale sono in grado di dialogare con gli esseri umani. È questo il fulcro del progetto ‘Chat yourself' sostenuto da Italia longeva, la rete nazionale di ricerca sull'invecchiamento e la longevità attiva del ministero della Salute. La diffusione del progetto è sostenuta da una campagna social che vede in prima linea esperti e familiari e, da settembre - anticipando la Giornata mondiale dell'Alzheimer che si celebra il 21 settembre - anche da testimonial del mondo della cultura e dello spettacolo. La malttia di Alzheimer. “Per l'Italia, paese più vecchio al mondo con il Giappone, le demenze rappresentano un problema sociale ogni giorno più grande - ha dichiarato Roberto Bernabei, presidente di Italia longeva - Ciò vale in particolar modo per l'Alzheimer, senza dubbio la forma di demenza più prepotente e violenta, sia sotto il profilo epidemiologico, sia per l'impatto sulla qualità di vita dei pazienti e dei loro familiari. Questa patologia oggi interessa quasi il 5 per cento  degli over 65, ma secondo le proiezioni elaborate dall'Istat per Italia Longeva, nel 2030 la percentuale si triplicherà e saranno colpiti dalla malattia ben oltre 2 milioni di pazienti, in prevalenza donne. In attesa di cure efficaci contro l'Alzheimer, una strada percorribile nelle prime fasi dopo la diagnosi è quella di sfruttare le risorse della tecnologia. ‘Chat yourself' è nato con questo obiettivo: contenere il danno provocato dalla malattia, affiancando all'impegno dei propri cari un aiuto concreto a ricordare”. L'Alzheimer comporta un lento e progressivo decadimento delle funzioni cognitive, dovuto all'azione di due proteine, la Beta-amiloide e la proteina Tau, che si accumulano nel cervello causandone la morte cellulare. “Evidenze scientifiche ci dicono che l'attacco ai neuroni ed ai circuiti nervosi inizia almeno 15-20 anni prima della comparsa dei tipici disturbi della memoria. Questo perché nel nostro cervello c'è un numero enorme di cellule, circuiti e sinapsi ‘di riserva' in grado di sostituire quelli danneggiati o distrutti dalla malattia, fino a quando non si arriva a una soglia limite, superata la quale il meccanismo degenerativo diventa inarrestabile - ha spiegato Paolo Maria Rossini, direttore area neuroscienze, fondazione policlinico universitario Agostino Gemelli, Roma - Il limite dei trattamenti terapeutici sin qui tentati – prosegue l'esperto – è stato proprio quello di essere somministrati in presenza di una sintomatologia già conclamata corrispondente ad una fase di malattia in cui le riserve plastiche del cervello sono esaurite. In sostanza, come voler curare il cancro in un paziente plurimetastatico. Per questo motivo, gli sforzi della ricerca sono sempre più tesi a individuare le caratteristiche prodromiche, precocissime e spesso visibili solo con l'ausilio di esami strumentali, così da intervenire il prima possibile con trattamenti specifici e supporti tecnologici”. L'Italia è in prima fila in questa attività di ricerca con il progetto Interceptor, che ha l'obiettivo di intercettare con precisione i soggetti che svilupperanno la patologia di Alzheimer. Il supporto delle tecnologie. “L'Alzheimer non colpisce solo il malato ma l'intero nucleo familiare, e soprattutto il caregiver che se ne prende cura ogni giorno, spesso per anni, sottoposto allo stress, alla stanchezza, e alla sofferenza di vedere il proprio caro perdere sempre più la propria storia, i propri affetti, il proprio stile di vita - ha ricordato Patrizia Spadin, presidente dell'Associazione italiana malattia di Alzheimer (Aima) - La famiglia ha bisogno di essere appoggiata lungo il percorso di malattia, di acquisire le conoscenze necessarie per stare vicino al malato, ma anche di poter contare sui servizi di presa in carico. Le tecnologie digitali possono contribuire al miglioramento della qualità di vita di tutti i soggetti coinvolti. E i social network possono essere degli straordinari alleati perché consentono di vivere la malattia in una dimensione collettiva e partecipata, che aiuta ad avere una maggiore consapevolezza del problema. Speriamo molto nella sensibilità anche di chi oggi non ne è toccato ma che potrebbe esserlo domani”.  Una proposta concreta di utilizzo sociale dell'innovazione tecnologica arriva da Chat yourself, la ‘memoria di riserva' a portata di smartphone in qualunque momento della giornata. Sviluppato su Messenger - il servizio di messaggistica di Facebook - Chat yourself è in grado di memorizzare tutte le informazioni relative alla vita di una persona, restituendole su richiesta all'utente, che ha anche la possibilità di impostare notifiche personalizzate, ad esempio per ricordare di prendere i medicinali. Il chatbot, nato da un'idea di Y&R, con il supporto tecnico di Nextopera e di Facebook e perfezionato grazie ad un team di neurologi, geriatri e psicologi per rispondere in maniera più efficace alle esigenze dei pazienti, è disponibile e accessibile a tutti gratuitamente sulla pagina Facebook di Chat yourself (@chatyourselfitalia). Come afferma Marco Ruggeri, general manager di Y&R Roma, “la creatività, unita alla conoscenza dei nuovi media e con l'ausilio della tecnologia, supera i confini del convenzionale per generare valore, nel suo ambito specifico e nella società”. (MATILDE SCUDERI)

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