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Gli inibitori Jak, nuovi protagonisti nella lotta alle malattie autoimmuni

Bloccare in maniera selettiva l'azione di alcuni enzimi della famiglia Janus chinasi, coinvolti nell'attivazione di un processo infiammatorio, per ottenere un rapido miglioramento di segni e sintomi già alla seconda settimana di trattamento

Maria Rita Montebelli
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Si chiamano Jak 'Janus Activating Kinases' e sono definite come una particolare classe di chinasi dalla struttura simmetrica, il che spiega anche il riferimento a Giano Bifronte divinità romana con due facce, posto a difesa degli ingressi e delle porte: situate all'interno delle cellule, le Jak, sono essenziali per il trasferimento dall'esterno all'interno del segnale generato dalle citochine che attiva la cascata infiammatoria. Il processo di attivazione delle Janus chinasi ha origine a monte, nella stimolazione citochinica: bloccando la sovraproduzione patologica di citochine, fondamentali nel controllo della crescita cellulare, nella risposta immunitaria e nella distruzione tissutale che guida la patologia, si arrivava a controllarla. Le terapie biotecnologiche sviluppate negli ultimi due decenni si sono focalizzate su obiettivi costituiti da singole citochine. Negli ultimi anni, invece le vie intracellulari utilizzate per la segnalazione e l'attivazione dell'attività di più citochine sono state riconosciute quali possibili obiettivi per le nuove terapie. Tra queste spiccano gli inibitori delle Janus chinasi, questi inibitori trovano ampia applicazione terapeutica nelle malattie autoimmuni, come l'artrite reumatoide. Ma quanto si conosce di tali meccanismi di azione? E quali sono i vantaggi di questa nuova classe di farmaci per l'artrite reumatoide? A queste domande ha risposto il Media tutorial promosso alla sala stampa di Milano da Pfizer dal titolo 'Inibitori JAK: i nuovi protagonisti nella lotta alle malattie autoimmuni'. “L'innovazione terapeutica consiste nel fatto che tali inibitori sono in grado di bloccare contemporaneamente numerose citochine (mediatori dell'infiammazione), rispetto ai farmaci biologici alla base di anticorpi monoclonali che inibiscono una citochina alla volta – afferma il professor Roberto Caporali, associato di Reumatologia dell'Università di Pavia, responsabile della Early Arthritis Clinic della Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia – A seconda delle Janus chinasi che andiamo a bloccare, interrompiamo la trasmissione di una tipologia di segnale all'interno della cellula. In particolare tofacitinib è dedicato prevalentemente all'inibizione di JAK 1 e JAK 3. A suo vantaggio, inoltre, possiamo citare la rapidità di azione e la capacità di controllare sintomi particolarmente fastidiosi, tra cui astenia e dolore articolare”. Tofacinitb (Xeljanz) capostipite internazionale di questa nuova classe di farmaci, è stato recentemente approvato da AIFa in regime di rimborsabilità per l'artrite reumatoide in fase attiva da moderata a severa in associazione con metotrexato in pazienti adulti che hanno risposto in modo inadeguato o sono intolleranti a uno o più farmaci modificanti la malattia. Tofacitinib può essere somministrato in monoterapia in caso di intolleranza a MTX o quando quest'ultimo non è appropriato. L'artrite reumatoide è una malattia autoimmune caratterizzata dall'infiammazione e dal progressivo danno articolare, può colpire ad ogni età, ed interessa in particolar modo le donne (3 volte più frequentemente degli uomini). In Italia la prevalenza è stimata dello 0,48 per cento nella popolazione over 18, equivalente a circa 240 mila casi. L'incidenza dei nuovi casi aumenta con l'età. “Sappiamo bene che al momento una terapia che consente una guarigione vera e propria non c'è. Possiamo parlare di remissione, ma la malattia può sempre ripresentarsi e il farmaco potrebbe dare effetti indesiderati. I nostri bisogni terapeutici insoddisfatti più urgenti sono proprio l'ingresso di nuovi farmaci che possano essere somministrati a tutti i pazienti in tempi molto precoci rispetto all'esordio della malattia”, afferma Silvia Tonolo, presidente dell'Associazione Nazionale Malati Reumatici (Anmar). “Avere a disposizione un farmaco in più è estremamente utile, in quanto almeno il 50 per cento dei pazienti trattati con le attuali opzioni terapeutiche deve sospendere il trattamento per inefficacia o per eventi avversi. Inoltre tofacitinib è più facile da assumere, mentre i biologici necessitano della via sottocutanea o endovenosa", continua Caporali. Purtroppo, l'artrite reumatoide evolve in un danno alle articolazioni e porta a una progressiva disabilità con conseguenze sulla vita quotidiana, tra cui l'impossibilità a compiere azioni semplici come vestirsi oppure lavorare. “I farmaci orali oltre ad agire rapidamente sul dolore, cosa che per noi pazienti è fondamentale per gestire la patologia nell'ambito della quotidianità, hanno sicuramente una marcia in più per quanto riguarda l'aderenza terapeutica; il fatto di poterli portare con sé al lavoro o in viaggio, di non usare aghi che impauriscono o creano disagi, rappresenta un beneficio che influisce positivamente sulla nostra qualità di vita", aggiunge Silvia Tonolo. Ė stato osservato che è possibile cambiare il decorso dell'Ar e prevenire - o quantomeno ritardare - l'evoluzione verso l'invalidità. “Tutte le opzioni terapeutiche che abbiamo a disposizione oggi (inclusi gli inibitori Jak) rappresentano un vantaggio per noi medici e soprattutto per i pazienti, solamente se utilizzati nell'ambito di una strategia di diagnosi e trattamento precoce. Prima si parte e maggiori sono le probabilità di ottenere risposte complete e, quindi, di avere un paziente che sta bene nel lungo periodo e senza progressione della malattia”,  conclude il professor Caporali. (EUGENIA SERMONTI)

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