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Servono le 'linee-guida'per le frature da fragilità

Una vera e propria emergenza sanitaria, che andrebbe fronteggiata definendo un percorso diagnostico terapeutico assistenziale (Pdta) unificato, diminuendo i ritardi nella diagnosi e prestando attenzione alla prevenzione secondaria

Maria Rita Montebelli
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Il problema delle fratture da fragilità necessita di un intervento da parte delle istituzioni, e a dirlo sono i numeri: secondo i dati della International osteoporosis foundation (Iof) le fratture da fragilità hanno interessato in Italia circa 600 mila persone solo nel 2017, ma si stima un'incidenza molto maggiore nella realtà, poiché questi dati non prendono in considerazione le fratture che non sono state registrate perché senza ricovero. Inoltre sono circa 3 milioni e 200 mila le donne e 800 mila gli uomini colpiti da osteoporosi, condizione che minaccia le ossa rendendole più fragili, ma di cui spesso non si percepiscono sintomi o segnali finché non si verifica una frattura, nella maggior parte dei casi causata da una caduta o un trauma banale. Il ritardo diagnostico. Un'emergenza nel nostro Paese, ma siamo ancora ben lontani dalla sua risoluzione: risorse e strumenti sono ancora troppo limitati e soprattutto – ed è qui che le istituzioni dovrebbero intervenire –  mancano delle linee guida nazionali che siano in grado di indirizzare l'operato dei medici sia per quanto riguarda il percorso di cura e la continuità assistenziale sia per quanto riguarda una prevenzione efficace. “Gran parte delle persone affette da osteoporosi sono già affette anche dalle sue complicanze, ovvero da fratture da fragilità - spiega Maurizio Rossini, professore ordinario di reumatologia, università di Verona - Queste sono spesso molto dolorose, ma possono anche manifestarsi con scarso dolore o può succedere che il dolore sia erroneamente attribuito ad altre malattie reumatiche e, in questi casi, la frattura viene diagnosticata molto in ritardo e solo casualmente. La presa in carico e il trattamento dei pazienti di conseguenza non sono tempestivi, con ripercussioni anche importanti in termini di disabilità e sulla qualità della vita”. La prevenzione secondaria. Il ritardo nella diagnosi non è purtroppo l'unico punto debole del percorso diagnostico terapeutico assistenziale delle fratture da fragilità. Oggi il paziente che subisce una frattura nella maggior parte dei casi viene dimesso dopo l'intervento chirurgico senza aver ricevuto una diagnosi di osteoporosi e una terapia appropriata. Manca quindi un corretto approccio alla prevenzione secondaria, finalizzata a ridurre in particolare il ‘rischio imminente di frattura' ovvero l'aumento delle possibilità di ulteriori fratture nei due anni successivi a quella iniziale. “Ancora oggi esiste purtroppo un gap di continuità assistenziale dopo un evento di frattura e manca una reale azione di prevenzione secondaria da parte degli specialisti e del medico di medicina generale. Questo accade principalmente a causa della mancanza di linee guida specificamente dedicate alle fratture da fragilità e vincolanti dal punto di vista medico-legale, che rendano quindi obbligatorio per il medico seguire un percorso di gestione, cura e assistenza standardizzato e uniforme a livello nazionale – commenta Maria Luisa Brandi, presidente della Fondazione italiana ricerca sulle malattie dell'osso e direttore malattie del metabolismo minerale e osseo, azienda ospedaliero universitaria Careggi di Firenze – La priorità per il futuro deve essere quindi la creazione di questo nuovo strumento di indirizzo per il paziente fratturato da fragilità che preveda anche meccanismi di controllo e verifica da parte di un osservatorio”. Quali linee guida? Allo stato attuale, tutte le maggiori società scientifiche competenti, tra cui Società italiana di ortopedia e traumatologia (Siot) e la Società italiana dell'osteoporosi, del metabolismo minerale e delle malattie dello scheletro (Siommms), così come il ministero della Salute e l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) hanno prodotto linee di indirizzo sulla gestione dell'osteoporosi e delle fratture da fragilità, ma non si tratta di vere e proprie linee guida nazionali, che dovrebbero invece essere emanate dall'Istituto superiore di sanità e strutturare un percorso di riferimento per gli specialisti ed i medici di medicina generale coinvolti nel trattamento della patologia. Ancora oggi, infatti, molte volte indagini e terapie non vengono consigliati: ad esempio solo il 20-25 per cento delle persone con fratture di femore riceve una prescrizione di indagine densitometrica o un trattamento farmacologico per l'osteoporosi a seguito della dimissione dall'ospedale. “Diversamente da quanto già accade in altre aree terapeutiche, come ad esempio quella cardiovascolare in cui la procedura di presa in carico e trattamento del paziente è scandita da percorsi e procedure standardizzate, nell'ambito delle fratture da fragilità questo percorso non è stato organizzato in un'ottica di sistema a livello nazionale relativamente a prevenzione secondaria, livelli di assistenza, strategie di intervento e trattamenti in pazienti a rischio di osteoporosi o che hanno già avuto una frattura - spiega Brandi - Dovremmo ispirarci al modello internazionale dei fractures liaison services, strutture di continuità assistenziale e terapeutica multidisciplinari che dovrebbero essere realizzate come unità dipartimentali in prossimità dei centri di ortopedia o dei pronto soccorsi ortopedici”. (MATILDE SCUDERI)

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