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Epatite C: due malati su diecinon sanno di avere l'infezione

Le terapie contro l'Hcv sono efficaci nel 99 per cento dei casi, ma bisogna intervenire per raggiungere le fasce deboli della popolazione. Nella sola Lombardia il ‘sommerso' ammonterebbe a circa 10mila individui

Maria Rita Montebelli
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I nuovi farmaci contro l'epatite C hanno reso facilmente debellabile questa pericolosa infezione, ma adesso è importantissimo aggiungere un'altra arma all'arsenale terapeutico di chi è impegnato a sconfiggere il virus: la consapevolezza. Due stime  sulla popolazione generale effettuate sui pazienti che accedono agli studi dei medici di medicina generale fanno ritenere che in Italia la percentuale dei pazienti con epatite C che non sa di avere l'infezione non sia superiore al 20 per cento. Tuttavia la percentuale è molto più elevata in categorie a rischio, come i soggetti con dipendenza da sostanze. "Oggi, nel mondo, molte delle nuove infezioni sono trasmesse ancora attraverso lo scambio di siringa o di oggetti contaminati tra tossicodipendenti - dichiara il professor Massimo Galli, pSimit - In quest'ottica è quindi chiaro che un progetto di trattamento con l'obiettivo di eliminare l'infezione debba prevedere interventi mirati". Le persone con tossicodipendenza non vengono sottoposti al test in maniera uniforme nelle strutture sanitarie dedicate e non hanno altre occasioni per eseguire il test negli ambienti che frequentano, come invece accade in molte realtà europee. "Un recente studio di ricercatori dell'Istituto superiore di sanità - dichiara il professor Massimo Puoti, direttore struttura complessa malattie infettive, Grande ospedale metropolitano Niguarda -  ha dimostrato che sarebbe economicamente conveniente sottoporre al test per l'epatite C tutti i soggetti italiani nati dal 1967 al 1987 entro il 2023 e poi sottoporre al test i nati tra il 1947 e 1967. Questa politica potrebbe essere attuata presso tutte le strutture sanitarie". Una constatazione avvalorata per giunta dalle percentuali di guarigione, ormai tali da rendere l'eradicazione del virus un progetto concretamente realizzabile: "le percentuali di guarigione osservate nelle sperimentazioni cliniche -  aggiunge Puoti - sono confermate da tutti i dati osservati nella pratica clinica reale su casistiche che comprendono migliaia di pazienti. Con le terapie che abbiamo a disposizione in Italia per tutti i pazienti con infezione da Hcv siamo in grado di guarire il 99 per cento dei soggetti trattati". Quello dell'epatite C è stato uno dei temi affrontato nella 11esima edizione dell'Italian conference on Aids and antiviral research (Icar), organizzato sotto l'egida della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), e di tutte le maggiori società scientifiche di area infettivologica e virologica e del mondo della community. Il congresso è presieduto dai professori Antonella Castagna, Antonella d'Arminio Monforte, Massimo Puoti e Giuliano Rizzardini. La situazione in Lombarda. Si stima che al 2014 erano seguite presso i centri ospedalieri lombardi circa 40mila persone con infezione da Hcv. A marzo 2019 risultavano trattati, o in trattamento, più di 35mila pazienti. Si può quindi ipotizzare che, entro il 2020, si riuscirà a trattare tutti quelli che risultavano in carico ai centri. "Rimangono da trattare - spiega Puoti - i soggetti che i medici di medicina generale non hanno ancora inviato ai centri per il trattamento, i soggetti in carico ai Sert e detenuti nelle prigioni che non sono ancora stati trattati. Inoltre rimane da curare quella proporzione di persone con epatite C che non hanno mai fatto il test e non sanno di avere questa infezione. Una stima grossolana ci fa pensare che ci siano in Lombardia almeno 10mila persone in questa condizione".  (MATILDE SCUDERI)

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