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Diabete di tipo 1 insulina dipendente, l'esperto: "I rimedi, tra pancreas artificiale e trapianto di cellule"

Giulio Bucchi
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Il Diabete Tipo 1, quello che insorge in genere in età giovanile e si cura solo con insulina, era una malattia terribile che portava a morte in meno di 20 giorni dalla scoperta, questo fino al 1921 anno in cui fu scoperta l'insulina. Da allora è stato possibile trattare questa malattia ma non è stato mai possibile guarire. Il trattamento consisteva nell'iniezione di insulina più volte al giorno, in genere prima dei pasti e prima di andare a letto. Dal 1921 sono stati prodotti vari tipi di insulina e diversi modelli di strumenti per l'iniezione ma la cura non è fondamentalmente cambiata: bisogna fare sempre 4 iniezioni al giorno. Dagli inizi della mia carriera più che trentennale di Diabetologo ogni volta che mi imbattevo in un paziente giovane a cui veniva diagnosticata tale forma di diabete ho sempre cercato di dare una visione più rosea del futuro assicurandolo che certamente si sarebbe affrancato dalle 4 iniezioni al giorno grazie all'invenzione di un “pancreas artificiale” o al miracolo di un trapianto di cellule pancreatiche. Oggi che possiamo disporre di entrambe le soluzioni vorrei fare il punto sui pro ed i contro e sulla reale utilità clinica per il paziente, che non sempre è correttamente informato. Parliamo prima del trapianto di Beta-cellule (sono le cellule del pancreas che producono l'insulina) perché al momento sono più indietro nella gara con l'altra soluzione ma certamente sono quelle più desiderate dai nostri pazienti. Oggi è abbastanza facile isolare tali cellule dal pancreas di un donatore ed il loro trapianto si fa attraverso un intervento chirurgico molto semplice che non richiede neanche l'anestesia. Il problema è che, a tutt'oggi non si è riusciti ad evitare il rigetto di tali cellule trapiantate, anche se la ricerca tenta da anni di fabbricare degli involucri protettivi per proteggere le cellule dall'attacco del sistema immunitario. E' quindi indispensabile, dopo il trapianto, effettuare costantemente una terapia antirigetto che è fastidiosa, tossica e richiede continui prelievi per il monitoraggio dei livelli nel sangue del farmaco; se a questo si aggiunge che, nonostante tale trattamento, la sopravvivenza media delle cellule trapiantate raramente supera i 3 anni ci si rende conto che non è una soluzione clinicamente valida. Attualmente è indicata per quei pazienti che hanno delle gravi complicanze con progressione molto veloce che potrebbero giovarsi anche di soli 3-6 anni di buon compenso (il trapianto può essere ripetuto) o pazienti che hanno un diabete molto scompensato, con complicanze già iniziate, che non riescono ad avere un equilibrio accettabile con nessuna altra terapia oggi disponibile. Veniamo ora alla seconda soluzione terapeutica: il “pancreas artificiale”. Già da più di 30 anni sono in commercio i Microinfusori di insulina che sono delle pompe intelligenti in grado di erogare l'insulina sottocute continuamente ma a dosaggi modificabili nelle 24 ore secondo un programma stabilito da un diabetologo esperto in tale terapia e sono poi in grado di erogare, su comando del paziente, dosi più massicce di insulina in occasione dei pasti. Tale sistema di erogazione è in grado di migliorare il controllo glicemico in quanto imita quello che fa normalmente il nostro pancreas il quale immette in circolo continuamente un po' di insulina regolando la dose in base alla glicemia del momento. Un altro vantaggio del microinfusore è che non vengono mai erogate grosse dosi come con le siringhe di insulina e quindi sono ridotti gli accumuli di insulina sottocute e pertanto le ipoglicemie, che sono un problema importante per i pazienti insulino-dipendenti, sono meno frequenti e meno forti. La difficoltà con il microinfusore è stabilire il giusto programma di erogazione basandosi sull'andamento delle glicemie, nelle varie ore della giornata, ma prendendo in considerazione l'andamento medio di un periodo di settimane precedenti alla visita medica. In genere quante più glicemie giornaliere effettua il paziente (minimo 6-7 al giorno) tanto più è adeguata la programmazione. Indubbiamente tali microinfusori sono in grado di migliorare l'andamento glicemico in pazienti difficili da controllare con 4 iniezioni al giorno ma non tutti hanno i miglioramenti sperati e, in ogni caso, è un sistema scomodo per i sacrifici che richiede: sono ingombranti da portare sempre addosso ed è essenziale fare molte glicemie capillari (dal dito) per programmarlo. Certo tale strumento non può chiamarsi pancreas artificiale ma è solo uno “scomodo” strumento per somministrare l'insulina in maniera più intelligente. Ciò che ha permesso un salto di qualità nel funzionamento di tali microinfusori è stata la messa a punto, da parte di varie ditte, di strumenti miniaturizzati e facilmente indossabili (alcuni sono anche impiantabili sottocute) per la misurazione in continuo della glicemia (CGM). Questo ha permesso al diabetologo di avere una notevole mole di dati per modificare e migliorare sempre più la programmazione delle dosi giornaliere di insulina ed al paziente di controllare gli effetti della dose di insulina somministrata prima dei pasti ed eventualmente intervenire con delle dosi aggiuntive correttive o con dei blocchi temporanei di erogazione in caso di glicemie basse. Ma tutto questo non era ancora definibile come “pancreas artificiale”, il passo avanti successivo è stato quello di collegare il lettore in continuo della glicemia con il microinfusore e di fornire quest'ultimo di un programma in grado di stabilire, minuto per minuto, la giusta erogazione di insulina. Questo è quanto è oggi già disponibile, non è ancora un vero pancreas artificiale perché richiede comunque la collaborazione del paziente che deve “dire al microinfusore” cosa ha intenzione di mangiare in modo che lo strumento si prepari ad erogare prima del pasto una dose più abbondante e proporzionata di insulina per controbilanciare la salita veloce di glicemia provocata dal pasto. Strumenti simili sono destinati a diventare la più comune terapia per il diabete tipo 1 (in America sta già succedendo) purchè il paziente sia disposto a tollerare la scomodità di indossare un microinfusore ed un sensore. In Campania la diffusione di tali trattamenti è notevolmente ostacolata dal fatto che addestrare un paziente al corretto uso del microinfusore richiede un team specificamente preparato composto minimo da diabetologo, dietista ed infermiere che devono dedicare molte ore alla preparazione del paziente e poi diverse ore per i controlli periodici ed attualmente la nostra regione non dispone di tale personale. Un problema che si porrà sempre di più è inoltre il costo degli strumenti e dei consumabili per tale terapia, più si diffonderà il loro uso e più ci saranno problemi per l'acquisto in una regione come la nostra con i bilanci della sanità in rosso. L'unica possibilità che avremo per non rifiutare una terapia migliore ai nostri pazienti sarà quella di razionalizzare e controllare gli acquisti (parole poco utilizzate nelle nostre ASL): evitando di acquistare tutti i vari tipi di microinfusore, anche quelli molto meno sofisticati, allo stesso prezzo del più tecnologico (come invece succede oggi); controllando la corrispondenza tra il materiale di consumo per tali strumenti e per i sensori ed il loro reale uso; contrattando con le Ditte sui prezzi; responsabilizzando i pazienti a non sprecare tale tecnologia con comportamenti poco collaborativi con il team curante. di Eugenio Maria De Feo (direttore UOSD di Diabetologia A.O.R.N. A. Cardarelli - Napoli)

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