La storia è tanto semplice quanto complessa perché nasce da un’idea che risponde a un bisogno. Poi fa il salto e diventa un’impresa. Nel senso di start up. È la vicenda imprenditoriale di tre giovani (anagraficamente) e della volontà di sviluppare un modo nuovo di usare la robotica nella vita quotidiana. Nel 2011 creano Adam. Di fatto un personal robot dotato di intelligenza artificiale sviluppata tramite un software espandibile con applicazioni. Funge da centro direzionale per la domotica, assistente in grado di navigare in rete e fare ricerche per conto nostro, consolle multimediale, video sorveglianza dell’abitazione (è infatti mobile come i più classici robot). Infine da sistema di telepresenza attivabile dal proprio iPhone. Con la duplice funzione di controllare casa quando siamo assenti o di interagire con i parenti anziani che vivono soli in altra città. Adam è facile da utilizzare per due motivi. Primo, perché risponde alla voce umana e interagisce a sua volta con il suono o direttamente dal display. Secondo, perché impara da solo. Immaginate: ogni volta che ci sediamo davanti al divano e accendiamo la tv per guardare un film il robot vede che spegniamo le luci della stanza. Alla terza volta capirà che è una nostra abitudine e lo farà da sé. Oppure utilizzato in azienda Adam potrà assistere a un meeting, registrarlo e salvarlo in cloud a beneficio di tutti i presenti. Inoltre se predisposto potrà essere invitato (sempre tramite comando vocale) a fare, in tempo reale, ricerche on line o nei documenti condivisi nel server aziendale. Il tutto a poco meno di 2mila euro. Qui la grossa novità. Un robot non più di nicchia ma per il grande consumo. «La nostra idea», spiega a Libero Gianmarco Cataldi, 23 anni, co fondatore della start up HandsCompany, «è stata quella di posizionare la robotica alla portata di tutti. Creare qualcosa di accessibile per gli anziani che vivono soli o per le piccole aziende. Al momento sul mercato esistono prodotti molto interessanti ma a partire dai 20mila euro. Inoltre abbiamo pensato, a differenza di quanto offre il mercato, di non sviluppare una piattaforma sulla quale poi altri avrebbero dovuto assemblare software e sviluppare risposte specifiche. Al contrario riteniamo sia possibile offrire un software già sviluppato. In pratica chiavi in mano per le esigenze della casa, dell’ufficio e degli ospedali». Cataldi parla al plurale perché quando nel 2011 sviluppa il primo prototipo di Adam coinvolge due amici di liceo: Francesca Iannibelli e Antonio Cavaliere. Assieme investono 5mila euro e sviluppano la seconda versione di Adam e costituiscono la società HandsCompany. Nel novembre 2012 partecipano alla fiera milanese Robotica e cominciano a farsi notare. Nei 12 mesi successivi trovano altre tre soci (coetanei) e si impegnano a fare network. Con fondi privati, risparmi e un po’ di aiuto dalle rispettive famiglie vanno al Ces di Las Vegas (la fiera più importante del settore). Vengono avvicinati da manager di grosse aziende It e decidono di fare un altro investimento: trascorrere due mesi a San Francisco e nella Silicon Valley. Mossa azzeccata. Tra le tante mani che stringono c’è anche quella di Marco Marinucci un venture capitalist presidente di una fondazione che si prefigge l’obiettivo di far conoscere alla Silicon Valley le idee più innovative d’Italia. L’appuntamento di fine febbraio ha visto Adam come protagonista. Tornati in Italia i tre startupper sono riapartiti per Lione. Nei mesi scorsi avevano partecipato a un concorso organizzato da Innorobo, la fiera del capoluogo francese. Hanno vinto e sono stati chiamati a esporre Adam. «Siamo tornati ieri», prosegue Cataldi, «con un bagaglio in più di feedback e di contatti. Siamo pronti per mettere a frutto quanto imparato negli Usa. Un ambiente stimolante. Lì la nostra creatura è stata ammirata ma al tempo stesso abbiamo dovuto imparare a difenderla perché le critiche sono mirate e severe». Adesso l’azienda deve affrontare l’ultimo miglio. A settembre sarà pronta ad avviare la fase di commercializzazione. Non avendo finanziatori la strategia è quella della prevendita. Con gli ordini verrà finanziata l’industrializzazione. «Abbiamo segnali e richieste che ci lasciano pensare che dopo l’estate», conclude Cataldi, «il business potrà partire. Anticipare senza aver completato tutte le fasi dello sviluppo sarebbe azzardato. Mentre a quel punto potremo dedicarci al 100% all’industrializzazione. Certo, se qualche finanziatore decidesse di investire nella nostra start up tutto sarebbe più veloce». In fondo si tratta di 400mila euro e gli ideatori fanno 69 anni in tre. di Claudio Antonelli
