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Il potere, una botta in testa: quell'irresistibile delirio di onnipotenza

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Daniela Mastromattei
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Il potere dà alla testa. Lo storico Baron John Acton dichiarava che «il potere tende a corrompere, e il potere assoluto corrompe in modo assoluto». A più di un secolo dall'accusa di Lord Acton, gli scienziati lo confermano: anche il più nobile di spirito può perdere di vista i propri valori quando gli si permette di governare. Come se entrasse in una palla di vetro, e addio al contatto con la realtà e a quella caratteristica tipica della specie sociale che è la capacità di immedesimarsi negli altri e sentirne i disagi e le aspettative.
È il paradosso del potere, una volta raggiunto, si dimentica tutto ciò che è stato messo in campo per ottenerlo.
Per lasciare il posto a un irresistibile delirio di onnipotenza.


I casi di Matteo Renzi (ha proposto un referendum, e lo ha perso), David Cameron (ha "sfidato" gli inglesi, e questi hanno votato per la Brexit) e Theresa May (ha indetto elezioni anticipate per avere una maggioranza più forte, e le è andata male) sono la dimostrazione di come in politica chi arriva in alto, si mostri altezzoso, arrogante, spocchioso, sprezzante del pericolo e incurante delle esigenze dei comuni mortali. L'apoteosi l'abbiamo raggiunta con sua maestà Mario Draghi.
Certo, Giulio Andreotti, citando il diplomatico francese del XVIII secolo Charles Maurice Talleyrand, sosteneva che il potere logora chi non ce l'ha. Ma almeno si resta coscienti.
In realtà, montarsi la testa è il difetto umano per eccellenza, gli antichi Greci usavano il termine hybris per mettere in guardia da questo pericolo. Un termine che indica la tracotanza presuntuosa di chi sale al comando, raggiunge una posizione di prestigio e comincia a sentirsi superiore agli altri, convinto che per sé stesso non valgano le normali regole del vivere comune. Già nel mito era presente l'hybris dei leader. L'Iliade, per esempio, parte con uno scontro acceso tra Achille e Agamennone, il capo dell'esercito acheo. Che approfitta della sua posizione di vertice per imporre la propria volontà, pensando di non pagarne le conseguenze. Salire in alto è un atto di superbia, avvertivano i popoli del passato.
 

CHE SUCCEDE AL CERVELLO Ma cosa c'è nel potere che rende chi lo detiene così fuori di testa? Secondo Dacher Keltner, professore di psicologia all'Università di Berkeley in California, che da 20 anni fa ricerche su questo tema, non è solo questione di superbia: «Il potere può avere sul cervello le stesse conseguenze di una lesione traumatica. Con manifestazioni che vanno dalla maggiore impulsività allo sprezzo del pericolo fino all'incapacità di mettersi nei panni dell'altro».
Anche le neuroscienze sono arrivate alle stesse conclusioni. Sukhvinder Obhi, docente all'università di McMaster in Ontario, che studia i cervelli, a differenza di Keltner che studia i comportamenti, ha messo a confronto le teste dei potenti con quelle dei non potenti, attraverso un esame a base di stimolazioni transcranico-magnetiche, e scoperto alterati i processi neurali specifici dei neuroni specchio, che sono la pietra angolare dell'empatia di chi ricopre ruoli da leader. E quindi da una parte c'è la perdita delle capacità empatiche e dall'altra è stato riscontrato un incremento dei disturbi narcisistici e della personalità con pulsioni manipolatorie in chi è arrivato nella stanza dei bottoni. Insomma il loro cervello diventa meno percettivo, meno interessato a capire gli altri. Direbbe il Marchese del Grillo: io sono io e voi non siete un c... Ecco perché i potenti si circondano spesso e volentieri di persone accondiscendenti, menti con scarso senso critico oppure dei furboni che fanno finta di essere del tutto rincretiniti; una corte di subordinati che tende a compiacere il capo di turno. Il risultato è che se il leader potente perde (quasi automaticamente, sembrerebbe) il senso della realtà, prevaricando e mettendo le proprie esigenze al di sopra di quelle degli altri, i "fedeli" sottoposti non faranno nulla per farglielo notare. Inevitabile dunque l'operato di governatori dallo sguardo corto, che sembrano non vedere al di là del proprio naso. E che prendono decisioni senza pensare alle conseguenze proprio come Agamennone.
 

IL FALLIMENTO DEI TOP MANAGER Keltner si spinge oltre: «Come polli senza testa i top manager delle multinazionali girano freneticamente per il mondo come polli decapitati: decidono guidati dall'ansia, senza pensare, senza capire, senza vedere e senza confrontarsi. Spesso ho sentito dire da relatori più anziani e autorevoli di società internazionali di consulenza cose senza senso nel corso di riunioni riservate ai partner, mi sarei aspettato qualche brusio di sconcerto tra gli astanti, e invece: clamorosi segnali di assenso ...». Non c'è da stupirsi, fa notare Adrian Furnham, professore di Psicologia all'University College di Londra, se il 47% dei manager fallisce. «Uno dei principali motivi di fallimento è il narcisismo: un cocktail deteriore di arroganza, freddezza emozionale e ipocrisia», spiega. Keltner però ha il sospetto che «la sindrome del pollo possa appartenere non solo a chi guida le imprese, ma anche a chi governa le istituzioni e le nazioni». Oddio, tra poco si vota. Potrebbe aver ragione chi dice che tanto chiunque vincerà le prossime elezioni (la sinistra di Letta o il centrodestra della Meloni con Berlusconi e Salvini) non cambierà nulla. Speriamo non sia così...

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