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Coronavirus, i consigli del neurologo Piero Barbanti su come sopravvivere alla Pasqua solitaria: "Preghiere e meditazione fanno bene"

Tiziana Balsamo
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Quante volte abbiamo sentito o recitato il detto: "Natale con i tuoi Pasqua con chi vuoi". Quest' anno, ai tempi del Covid, la storia sarà diversa. Sarà una festa in maschera, e non è carnevale, quella degli "arrosti domiciliari" (per chi l' arrosto se lo potrà permettere), come ha già ironizzato il sommelier e cuoco romano Riccardo Roselli, dei pic-nic apparecchiati sul parquet con tanto di tovaglia a quadri della nonna e vecchi panari addobbati in pizzo sangallo da far impallidire anche quello della Birkin, dei brindisi virtuali #unitimadistanti che, come ci hanno insegnato Albano e Romina, è «un bicchiere di vino con un panino la felicità».


E ancora, quella della malinconia dei tempi in cui ci pareva non avessimo nulla e invece avevamo tutto. Della ricerca spasmodica delle fotografie ingiallite che raccontano altre Pasque. Della conta delle 18 di Borrelli e Busaferro mentre qualcuno chiede «ma anche stasera fanno Conte?». E del dolore, tanto dolore, per quanti la battaglia con questo stramaledetto virus l' hanno persa. Ma come reagiremo davvero a tutto ciò? Che cosa resterà di positivo di questa Pasqua di quarantena, se mai possa essere che una quarantena lasci qualcosa di positivo? Lo abbiamo chiesto al professor Piero Barbanti, neurologo e responsabile del Centro cefalee all' IRCCS San Raffaele di Roma.


«Le settimane del lockdown hanno allungato le distanze fisiche tra le persone, ma hanno avvicinato le paure a noi. Dobbiamo evitare la cosiddetta presentificazione, cioè il vedere il presente come eterno. La nostra sfera psicologica è normale quando si articola come un soggetto che cammina, cioè prendendo spinta da un piede posto dietro a sé (passato) e proiettando l' altro in avanti (futuro), transitando solo rapidamente al centro (presente)».

 

Come si può evitare di focalizzare i pensieri solo sulla drammaticità?
«Mediante speranza e ottimismo. Entrambi impegnano la corteccia cerebrale orbito-frontale, colonizzata dall' ansia ed in questa maniera scalzata via. L' ottimismo avviene mediante un meccanismo di attivazione della memoria autobiografica (corteccia cingolata) in grado proietta inconsapevolmente davanti ai nostri occhi eventi positivi del passato che ci fanno vedere in chiave positiva il nostro futuro: come occhiali, pescati nel nostro zainetto, che ci fanno vedere in maniera più rosea l' orizzonte. Se l' ottimismo è in parte innato, la speranza è invece un fenomeno cognitivo attivo e programmabile, basato sulla somma di motivazione (il propulsore) e di progetti futuri (le strade da percorrere)».

Da sempre l' uomo cerca e coltiva una propria sfera spirituale in cui trovare rifugio e conforto, e questo vale per tutte le religioni. Ma cosa succede al nostro cervello quando preghiamo o meditiamo, cosa che molti di noi faranno riscoprendo la Pasqua nelle "chiese domestiche"?
«Sono oltre 3300 gli studi scientifici che hanno studiato l' effetto di spiritualità, meditazione e preghiera sul cervello. Quello che ne è emerso è che in tali condizioni si disconnettono le aree recettive delle sensazioni e delle emozioni (lobulo parietale inferiore, talamo, striato): in questa maniera il cervello riesce ad estraniarsi dal mondo e riesce a pensare trovando così concentrazione e progettualità, valorizzando ad esempio il tempo a disposizione per trasformare la situazione in una opportunità di rinascita».


Sarà davvero una rinascita? Si dice che quando tutto passerà saremo diventati migliori. Ma è una pandemia, non un incantesimo...
«Stiamo assistendo ad una clamorosa sincronizzazione emotiva di massa, in grado potenzialmente di resettarci. Le grandi gioie ma anche le grandi sofferenze collettive sono spesso salutari dal di vista psicologico. Non dimentichiamoci che il miracolo economico è stato sostenuto dal coraggio e dalla capacità visionaria di orfani e vedovi della tragedia della seconda guerra mondiale. Il benessere ci ha portato a ricercare un' autonomia narcisistica, con l' illusione che vivere significasse essere orgogliosamente indipendenti. La conseguenza è stato il distacco emotivo dall' altro, una scarsa solidarietà e pochi progetti comuni. Ora siamo tutti sincronizzati sullo stesso obiettivo: la sconfitta del virus. Dobbiamo dunque cogliere l' opportunità data dalle norme restrittive per riscoprire un sentire comune, la necessità dell' ascolto e la naturalezza dell' attesa. Potremo riconquistare un tempo più lento per vivere e per disegnare i nostri progetti ed i nostri sogni. Così, solo così, potremo essere persone migliori».

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