Parla la moglie di Faletti: "Vi racconto mio marito Giorgio"
La relazione fra Giorgio Faletti e la moglie Roberta Bellesini era basata sul rischio. Sul rischio magari banale di due innamorati che indipendentemente dalla grossa differenza d'età decidono di vedersi, fidanzarsi, sposarsi. Ma pure sull rischio oneroso, ansimante, angoscioso come quello che si prese Roberta quel giorno del 2002, quando trovò disteso nella camera da letto suo marito Giorgio, con un ictus che se lo stava portando via da un momento all'altro. Era il giorno della presentazione del suo primo romanzo, Io uccido. Io rischio - A un mese dalla morte la moglie Roberta ricorda suo marito Giorigio Faletti e sceglie Vanity Fair e un amico scrittore, Luca Bianchini, per ricordare i loro 14 anni insieme. "Per fortuna ebbi la lucidità di descrivere bene i sintomi al pronto soccorso, per cui lo portarono al Niguarda. Poco dopo, però, dovetti prendere la decisione più difficile della mia vita" "E cioè?" lo incalza il giornalista. "C'era un farmaco che poteva sbloccare la situazione, ma in Italia era ancora in via sperimentale. E, non sapendo bene da quanto tempo Giorgio era in coma, avrebbe potuto essere letale. Più il tempo passava, più aumentava il rischio. Il medico mi lasciò dieci minuti per decidere, e io rischiai. Ho sempre pensato che per avere risultati si debbano correre rischi". Il rischio più bello, perchè a sentire il tono con cui ne parla la moglie fu la svolta della loro relazione "Quando lo seppe mi chiese di sposarlo. Parallelamente, la sua guarigione venne accelerata dai risultati clamorosi delle vendite di Io uccido" Il mondo letterario - Non è mai stato apprezzato veramente dall'élite intellettuale, le fa notare il giornalista. "Ne soffriva infatti. Lui faceva comodo agli editori e ai festival, perché portava pubblico e faceva vendere tante copie. Però il mondo letterario non l'ha mai veramente accettato". Cosa che però lo abbatteva il giusto. "Comunque vadano le cose, io ho avuto una vita che altri avrebbero bisogno di tre per provare le stesse emozioni. E se penso che sarei dovuto morire nel 2002 e in questi 12 anni ho fatto le cose a cui tenevo di più, devo ritenermi l'uomo più fortunato del mondo".