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Antonio Socci, retroscena sul Vaticano: al Sinodo Papa Francesco ha perso, e ora c'è il rischio di purghe

Giulio Bucchi
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La “rivoluzione d'ottobre” del Sinodo è fallita, e con esso è finita la prima parte del pontificato bergogliano. Quale sarà la seconda? Il discorso conclusivo fatto sabato da Francesco lo fa intuire. Forse quello che inizia sarà uno degli anni più drammatici e confusi della storia della Chiesa. Anzitutto Papa Bergoglio ha scaricato sul cardinale Kasper (e compagnia) la sconfitta, dopo averlo usato come testa d'ariete per sfondare la resistenza dei cardinali ortodossi, sia al Concistoro di febbraio che al Sinodo. La maggioranza ha bocciato la “rivoluzione” che Kasper - per volere di Bergoglio - ha prospettato, quindi il Papa ha preso le distanze dalle sue tesi squalificandole come «buonismo distruttivo, che a nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici». Peccato che proprio su queste assurde tesi kasperiane si sia fatta spaccare traumaticamente la Chiesa per mesi, e per mesi quelle tesi siano state fatte passare sui media come la novità del pontificato di Bergoglio, senza nessuna smentita. Peccato che sia stato Papa Francesco ad imporre lo stesso Kasper come relatore unico al Concistoro di febbraio e a elogiarne le tesi come «teologia in ginocchio» (Kasper ha sempre dichiarato, senza essere smentito, che aveva fatto tutto d'accordo col Papa). Fior d'intellettuali e giornalisti cattolici un tempo ratzingeriani e ora smaniosi di ricollocazione hanno abbracciato e applaudito le rivoluzionarie tesi kasperiane. Come pure i giornali laici. Vedere adesso la stroncatura che ne fa Bergoglio dovrebbe essere umiliante per tutti questi papalini frettolosi. E avrebbe dovuto indurre anche i giornaloni laici - tipo Repubblica - a riconoscere di aver sbagliato tutto. Invece nessuno lo ha fatto. Evidentemente perché tutti ritengono che l'imbarazzato smarcamento tardivo di Bergoglio dalla tesi perdente è solo tattico. E constatano che dal Concistoro di febbraio e dal Sinodo di ottobre a uscire sconfitto e “sfiduciato” è lo stesso Bergoglio. Argomenti risibili - Certo, ci sono ancora gli ultimi “giapponesi”, i quali sottolineano come sugli argomenti controversi della comunione ai divorziati risposati e degli omosessuali (punti 52, 53 e 55), pur non essendoci stati i due terzi dei voti (quindi pur risultando bocciati dal Sinodo), c'è tuttavia la maggioranza assoluta, e quindi non si tratta di sconfitta. Ma questo argomento è risibile, perché quelli erano comunque i testi emendati e corretti, non erano testi “kasperiani” e “fortiani”. Di fatto la “Relatio post disceptationem” di metà Sinodo, quella “rivoluzionaria”, è stata bocciata e riscritta. E la “Relatio Synodi” è un altro testo («più bilanciato, equilibrato e sviluppato», come ha precisato lo stesso padre Lombardi). Dunque l'esito del Sinodo è una vera e propria “sorpresa di Dio”, e se Papa Bergoglio fosse aperto a tali sorprese prenderebbe atto che non è possibile uno “sbaraccamento” scalfariano del cattolicesimo che finirebbe per travolgere sacramenti, comandamenti e magistero. Come lui stesso ha detto, «questa è la Chiesa, la nostra madre! E quando la Chiesa, nella varietà dei suoi carismi, si esprime in comunione, non può sbagliare: è la bellezza e la forza del “sensus fidei” che viene donato dallo Spirito Santo». Dunque, perché non riconoscere serenamente quello che dal Sinodo è emerso? Perché non ascoltare il soffio dello Spirito? In realtà, a quanto pare, il Papa argentino non ama queste “sorprese di Dio” che hanno fatto naufragare la sua “rivoluzione” e - secondo alcuni osservatori - sarebbe intenzionato a vincere a tavolino la partita persa sul campo. Lo si evincerebbe dai punti successivi del suo intervento conclusivo. Infatti, ancor prima di prendere le distanze da Kasper, ha liquidato (ancora una volta) come «irrigidimento ostile» nella «lettera» (cioè il Vangelo sine glossa) la posizione dei cattolici che si sono opposti a Kasper. Ha bollato come «tradizionalisti» e «intellettualisti» coloro che semplicemente hanno ricordato il magistero di sempre della Chiesa, dai Vangeli e da San Paolo fino a Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ma se i cattolici, apostolici romani che professano la posizione della Chiesa di sempre e di tutti i Papi precedenti per Bergoglio sono da bocciare, non è chiaro quale ritiene sia il suo gregge e il magistero cattolico (è pur vero però che lo stesso Bergoglio a Scalfari ha detto che «Dio non è cattolico…»). Finale a sorpresa - Poi il discorso conclusivo del Papa ricorda qual è stato l'argomento che i suoi “avversari” gli hanno opposto, l'argomento vincente: il Papa non è padrone del Vangelo, della dottrina, della tradizione e della Chiesa, ma loro servitore. Ne ha preso atto, concordando. Ma ha aggiunto un finale a sorpresa. Ha detto: «La Chiesa è di Cristo, è la Sua Sposa, e tutti i vescovi, in comunione con il Successore di Pietro, hanno il compito e il dovere di custodirla e di servirla, non come “padroni” ma come “servitori”. Il Papa, in questo contesto, non è il “signore supremo” ma piuttosto il “supremo servitore” - il “servus servorum Dei”; il garante dell'ubbidienza e della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, al Vangelo di Cristo e alla Tradizione della Chiesa, mettendo da parte ogni arbitrio personale, pur essendo - per volontà di Cristo stesso - il “Pastore e Dottore supremo di tutti i fedeli” (Can. 749) e pur godendo “della potestà ordinaria che è suprema, piena, immediata e universale nella Chiesa” (cf. Cann. 331-334)». La prima parte di questa citazione smentisce i più fanatici bergogliani che, da media cattolici o laici, nelle settimane scorse avevano teorizzato che il Papa potesse fare quel che voleva dei sacramenti (qualcuno era arrivato a definirlo «signore assoluto»). I nostri lettori ricorderanno che su queste colonne, il 5 ottobre scorso, io lo avevo scritto, citando una pagina di Joseph Ratzinger: «Il Papa non può dire: La Chiesa sono io, oppure: La tradizione sono io, ma al contrario ha precisi vincoli, incarna l'obbligo della Chiesa a conformarsi alla parola di Dio». Presi insulti e invettive, come se avessi delegittimato il Papa. Ebbene, sabato sera Francesco ha detto la stessa cosa. Poi però ha aggiunto a sorpresa la citazione del Codice di diritto canonico, che gli dà un potere insindacabile su tutti i fedeli e sulla Chiesa universale. Quel Francesco che si è presentato ostentatamente come “vescovo di Roma” e rifuggiva dalla qualifica di Papa, di colpo ha riscoperto le prerogative di potere più pesanti del Papa, da Papa re. Popolo sotto choc - In effetti già sul Sinodo ha esercitato il suo potere, attraverso la struttura direttiva, per orientarlo e controllarlo, con modalità assai poco sinodali e conciliari. Tanto da suscitare vivaci proteste per l'imbavagliamento. La stessa sua decisione di far arrivare alle diocesi anche i tre punti che il Sinodo ha bocciato su divorziati risposati e gay, dà la sensazione di infischiarsene del Sinodo stesso e voler continuare la battaglia (a Roma si dice “nun ce vonno sta'”). Ricomincia il caos. Un osservatore come John Allen ritiene che ora si passi agli “avvvicendamenti”, cioè alle defenestrazioni di coloro che più hanno avversato la rivoluzione Kasper-Bergoglio, a cominciare dai cardinali Burke e Mueller. Se così fosse, quella citazione del Codice significherebbe: «Voi mi dite che io non posso toccare la dottrina, ma io vi ricordo che posso decidere le vostre sorti». Sarebbe l'inizio di epurazioni e purghe davvero disdicevoli, che sconcerterebbero un popolo cristiano già sotto choc. La confusione in cui la Chiesa si è trovata negli ultimi mesi diventerebbe davvero drammatica. È questo che si vuole? Allen ha riportato il commento postsinodale di un cardinale: «Non penso (che Bergoglio) sia un grande stratega… Pensavo ci fosse un piano dietro il caos… Ora mi chiedo se non sia il caos il suo piano». C'è solo da sperare in una sorpresa di Dio: che Papa Bergoglio inverta la sua direzione. di Antonio Socci

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