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Jerry Calà, l'intervista : "La libidine mai persa, Berlusconi che mi inseguiva e le cassiere dei cinema..."

Lucia Esposito
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Un milione e settecentomila visualizzazioni in appena tre giorni. Ocio, parodia rap presentata durante l' ultima puntata del late night di RaiDue Sorci Verdi, ha ipnotizzato la rete e catalizzato l' attenzione di una miriade di ragazzini, riconfermando Jerry Calà nel suo ruolo di idolo. Canottiera, cappellino e «groupies», l' attore ha fatto capolino sugli schermi del servizio pubblico lo scorso martedì, imbacuccato nei panni poco consoni dell' Mc Calà-mità. «Tu sei un fac-simile», ha rappato rivolto a chissà chi, «con Jerry non fot*i, la tua tipa sì». Com' è nato il progetto di Ocio? «Io e J-Ax era un po' che ci corteggiavamo su Twitter. Io dimostravo grande entusiasmo per il suo ruolo di giudice a The Voice, lui mi diceva che era cresciuto con i miei film. Un giorno mi ha mandato un messaggio. Mi voleva a Sorci Verdi. Di lì è nato l' amore. Sono andato in studio: i suoi ragazzi, Two Fingerz compresi, hanno scritto il testo per me. Io ho fatto il gangsta». In J-Ax ha poi detto di aver trovato un amico. Il futuro vi riserverà altri progetti? «Non so cosa faremo, ma qualcosa arriverà. Quest' incontro è stato uno dei più significativi degli ultimi anni: mi ha dato una sterzata di fresco e sono sicuro abbia rafforzato la mia immagine agli occhi dei giovani. Mio figlio Johnny ha 13 anni ed è la mia vera libidine. Mi ha detto: "Papà, che figo, lavori con J-Ax"». In Ocio, lei canta «Non chiamatelo un ritorno. Io non ho mai mollato». Con chi ce l' ha? «Non farò nomi, ma in certi ambienti se non ti vedono tutti i giorni pensano che tu sia morto. Video ergo sum, dicono. Tanti non sanno, soprattutto negli alti uffici delle produzioni Rai e Mediaset, che lavoro ininterrottamente. Sarò a Cortina per la serata di Capodanno e dal 18 gennaio, al Teatro Nuovo, porto in scena lo spettacolo Da Verona Beat a Milano Rap». Oggi, dopo 45 anni di carriera, c' è qualcosa che ancora riesce a strapparle un «doppia libidine»? «Tutto. Io continuo a dirlo: libidine di qua, libidine di là. La gente vuole sentirlo e io ho mantenuto quel tipo di entusiasmo di cui le parlavo. Sposo ancora la novità, a differenza di tanti miei colleghi più bacchettoni». La televisione e il cinema, però, paiono averla estromessa… «Ma no, non mi hanno estromesso. Ho sempre in fieri dei progetti cinematografici, ho proposto una serie tv. Diciamo che non essendo parte di nessun carro, non appartenendo a nessun grande impresario, non mi arrivano grandi offerte. Ma stia pur certa: io non mollo mica». Infatti con le discoteche, la Capannina, Umberto Smaila e la Costa Smeralda, s' è costruito un' altra carriera. «Già, e le mie serate, più di 100 all' anno, sono sempre sold-out. All' Alcatraz, di recente, ho avuto la mia consacrazione a popstar». Quest' estate delle discoteche s' è parlato molto. Alcuni le bollano come luoghi infernali… «Io, tra il 1994 e il 1995, ho fatto un film. Si chiamava I ragazzi della Notte. All' epoca, spezzavo una lancia in favore delle discoteche. I problemi non cominciavano certo la notte nei club. E così è adesso. I problemi cominciano a casa, all' alba. I ragazzi arrivano in discoteca già ubriachi. È troppo facile chiudere le discoteche». Il suo pubblico è pieno di ragazzi tanto giovani da non sapere nemmeno chi siano i Gatti di Vicolo Miracoli.Com' è possibile? «Merito dei miei film. Credo che in loro i giovani riescano a vedere qualcosa che non trovano più nella realtà. Un ottimismo che oggi manca». E a lei degli anni Ottanta cosa manca? «L' entusiasmo che aleggiava nell' aria. Erano gli anni del rischio: anni in cui ci si buttava in imprese folli. Gli yuppies erano dei cazzoni, ma avevano voglia di fare. Io negli anni Ottanta recitavo in Vado a vivere da solo: c' era voglia di affrancarsi. Oggi i ragazzi sono troppo protetti. Le famiglie sono ingombranti». Di Berlusconi, conosciuto all' epoca, che ricordi ha? «L' ho rivisto quest' estate, dopo tanti anni. Ci siamo divertiti, insieme abbiamo ricordato gli inizi a TeleMilano. Sa, io non l' ho conosciuto come uomo politico, ma come imprenditore. Mi ricordo che allora non volevo fare televisione: ancorato com' ero al cinema, ne avevo paura. Lui mi seguiva per locali nel tentativo di convincermi. Oggi sarebbe impensabile». Umberto Smaila di recente ha dichiarato che lei è diventato quello che è «grazie a un' ernia al disco». Cosa intendeva? «Io avevo 16 anni, lui un gruppo già formato. Poi il suo contrabbassista s' è ammalato. Umberto, che mi conosceva, mi ha detto: "Sostituiscilo". Poi il liceo è finito. Lui si è iscritto a Legge, Franco (Oppini, ndr) pure. Io ho cominciato Lettere Antiche, volevo fare il professore. Ai nostri genitori parevano scelte più sensate». Poi cos' è successo? «Un giorno Umberto è venuto da me. "Sono depresso", mi ha detto. "A mi te me' l diset?". Ero a Bologna, senza una lira. Condividevo una stanza con mille ragazzotti. Le donne mi schifavano, manco potevo portarle fuori a cena. Ci siamo rimessi a suonare». Di recente lei ha detto che l' incidente che nel 1994 le ruppe entrambe le gambe le fece più bene che male. Perché? «In quel periodo ero troppo attaccato al lavoro, al successo, agli incassi. Avevo imparato tutti i numeri delle cassiere dei cinema italiani così da poterle chiamare per capire come fossero andati i miei film. Ero insopportabile. Poi ho visto in faccia la morte e ho cominciato a vivere per me, non per la gloria». Uno sfizio che ancora non si è tolto? «Di sfizi me ne sono tolti tanti, alcuni anche pericolosamente. Negli anni Ottanta ho lasciato un gruppo di successo, quello delle Vacanze di Natale. Sono stato a Berlino con Marco Ferreri, ho fatto il regista, prodotto cose di tasca mia. Mi sono addirittura tolto lo sfizio di Pipì Rum, un film che non è mai uscito al cinema». Claudia Casiraghi

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