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Daria Bignardi confessa il cancro con pudore. Mentre Nadia Toffa... Il durissimo commento di Filippo Facci

Andrea Tempestini
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«È tempo di confessioni» titolava ieri il sito Dagospia nell'annunciare che Daria Bignardi, anche lei, ha raccontato di aver avuto un tumore nel periodo in cui conduceva Le invasioni barbariche su La7: il titolo accennava poi a cure, chemioterapie, parrucche, insomma, c'era da temere il peggio dopo l'iniziativa della iena Nadia Toffa, che domenica scorsa ha scelto di spettacolarizzare il suo fortunato e recente tumore-jet (scoperto, asportato e guarito in soli due mesi) esaltando poi una pubblica condivisione che però è stata quella della sua avvenuta guarigione, non della malattia. Leggi anche: Nadia Toffa e il tumore, Facci durissimo: "Coraggio? No, è..." Per fortuna le due confessioni non c'entrano nulla una coll'altra e - si scopre - non c'è consecutio tra le due cose. Daria Bignardi, anzi, ha parlato dell'argomento prima di Nadia Toffa anche se noi l'abbiamo letto dopo, perché la sua intervista è uscita su un settimanale e i settimanali hanno tempi di pubblicazione che ormai paiono geologici. Poi, al di là della titolazione di Dagospia, l'intervista di Malcom Pagani a Daria Bignardi parla essenzialmente d'altro: non solo di televisione - il che è ovvio, essendo lei ex direttrice di Raitre - ma della genesi di un romanzo che sta per pubblicare. Il titolo è «Storia della mia ansia» (scelta che non troviamo particolarmente attraente) e la Bignardi, che come scrittrice si prende molto sul serio, racconta della protagonista che combatte appunto coll'ansia e, nondimeno, con un tumore al seno scoperto all'improvviso: qualcosa «di molto forte, un evento importante che ha cambiato il tessuto delle sue giornate e dei suoi pensieri». CENTRO DEL MONDO Perché proprio una malattia?, le chiedono. Risposta: «All'inizio pensavo a un incidente, poi mentre scrivevo mi sono ammalata... Prendere elementi dalla vita reale è stato naturale. Chi è ammalato considera la propria malattia il centro del mondo, ma, anche se ho rispetto per chi sta soffrendo in questo momento, parlare pubblicamente della malattia in generale, o peggio ancora della mia, non mi interessa». In pratica, le ragioni di Daria Bignardi sono le stesse di Nadia Toffa ma completamente rovesciate: «Ne parlo soltanto ora un po' per pudore, un po' per paura della curiosità o della preoccupazione degli altri, un po' perché quando guarisci volti pagina e non hai più voglia di parlarne ancora. Ho superato una malattia seria, ma al tempo stesso molto comune. Si ammalano milioni di donne, a cui va tutto il mio affetto». Insomma: un conto è scegliere di esordire in televisione dicendo «ho avuto un cancro», un altro conto è scegliere di non nasconderlo se un intervistatore te ne chiede per un motivo. L'OFFERTA RAI Intervistatore che, ovvio, non ha mollato l'osso e le ha chiesto quando scoprì di essere ammalata: «Facendo una mammografia di controllo. Sei mesi dopo, a una settimana dall'ultima chemioterapia, mi è arrivata la proposta di Campo Dall'Orto per dirigere Rai Tre. Gli ho raccontato tutto. Mi ha chiesto soltanto: “Sei guarita?”. Gli ho risposto di sì. “Ti aspetto a Roma”, mi ha detto, e io sono partita. Dopo sei mesi dentro a una bolla sono entrata dentro a un'altra bolla. Da un'esperienza totalizzante all'altra». Potremmo osservare, con cattivo gusto, che trattasi comunque di esperienza devastanti, ma forse è più interessante la postura di Daria Bignardi nel fare un bilancio della prima esperienza: «Mi è rimasto che la chemioterapia fa schifo, ma serve. Curarsi o operarsi non è divertente. Non ho rimosso niente, ma ho elaborato tutto anche scrivendo questo libro. Non è un libro sulla malattia e non è un libro sul tumore, è una storia d'amore, e sul rapporto tra l'amore e l'ansia. Il cancro è soltanto un evento che lo attraversa». Domanda: la affatica parlarne? Risposta: «Più che affaticarmi, non mi interessa tanto. Ne ho scritto. Lei domanda e io rispondo, ma è la prima volta e anche l'ultima, spero». Il resto è meno importante, anche quando notevole. Quando, per esempio, la presero in giro per l'improvviso look coi capelli corti e grigi (dissero che voleva fare la radical chic, ma in realtà aveva scelto di non portare più la parrucca durante le terapie) con una morale che oggi è arduo non trovare amara: «Chiunque compare, oggi, è oggetto di una tale massa di critiche che non bisogna esserne toccati davvero. In alcuni casi mi dispiaceva per loro. Mi preoccupavo che rimanessero male se avessero saputo del cancro». E, proseguendo noi col cattivo gusto, che tanto lei Libero non lo legge, concluderemmo: tanto di parrucca, signora Bignardi. Non voleva parlarne, non voleva lanciare messaggi. Sono arrivati lo stesso. di Filippo Facci

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