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Vittorio Feltri: malvestiti e stropicciati, gli uomini e il trionfo della sciatteria

Davide Locano
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Per gentile concessione dell'autore e dell'editore pubblichiamo il pezzo di Vittorio Feltri -una riflessione sulla sciatteria, soprattutto dei nostri giovani politici- tratta dalla sua rubrica sul mensile Arbiter, attualmente in edicola. Poche cose riescono ancora a stupirmi come la trasandatezza che ci circonda. È una vera e propria epidemia che ha contagiato un po' tutti, dal ragazzino con il jeans lacerato, che sembra stato appena aggredito da una bestia feroce, alla signora che espone avvolti in graziosi sandali piedi che avrebbero bisogno urgente di una pedicure, al collega con la barba incolta e la camicia stropicciata già alle 9 del mattino, tanto che guardandolo non puoi fare a meno di chiederti se la sera prima sia andato a letto così come si trova. Quando il mio occhio cade su certi dettagli raccapriccianti, mi sforzo di risalire al momento storico in cui la sciatteria è stata sdoganata diventando addirittura un elemento ritenuto vincente in quanto capace di dare grinta al proprio look. Ciò che desta preoccupazione adesso è l'ingresso della mancanza di gusto persino all'interno delle istituzioni, ultimo baluardo di un mondo antico in cui sobrietà ed eleganza erano valori custoditi e avevano ragione di esistere. Il nostro vicepremier nonché ministro dell'Interno, Matteo Salvini, ha prestato giuramento al Quirinale indossando calzini a righe orizzontali e colorate e portando al polso destro un braccialettino di plastica (da dodicenne) della sua squadra del cuore, ossia il Milan. Grazie al cielo, però, ci ha risparmiato la felpa verde e gli scarponi. Accanto a lui un Luigi Di Maio, vicepremier e ministro dello Sviluppo economico e del lavoro, confezionato e impacchettato con lo scotch nella sua solita giacca rigida e scura, che non abbandona neanche quando a Pasqua si reca a pranzo a casa di mamma e papà, al fine di non correre il rischio di apparire poco istituzionale. Il che lo rende, se possibile, più «cafone». Leggi anche: "Non possiamo accogliere mezza Africa": Vittorio Feltri ferma l'invasione Fosse valida l'equazione per cui giacca e cravatta fanno signori, non vivremmo in un mondo così disgustoso. L'eleganza è ben altra cosa, è affare tanto semplice quanto complicato. È equilibrio, proporzione, attenzione, cura, semplicità, morbidezza e altresì comfort. Non è mai elegante ciò che è fastidioso, in quanto si tratterebbe di qualcosa di innaturale e artificioso. Eppure per molte signore «scomodo» è sinonimo di «arrapante» e «comodo» di «brutto». Pensiamo, ad esempio, alle calzature denominate «ballerine». Personalmente, le trovo adorabili. Apprezzo le donne che le usano, perché non puntano sull'eccesso per piacere e soprattutto non sono interessate a sedurre a ogni costo. Il che le rende assolutamente irresistibili. La seduzione non deve essere uno sforzo: colei che vuole irretire deve fare il meno possibile. Ciò che non gradisco, invece, sono quei tacchi esagerati di 12 o anche 15 centimetri, che oramai quasi tutte le fanciulle portano, sebbene alcune indossandoli camminino come fossero dinosauri su tappeti di uova. I trampoli non mi piacciono, eppure gradisco i tacchi moderati e sottili. I piedi che li calzano devono essere curati. Non apprezzo gli abiti complicati e ritengo che nulla valorizzi le forme del corpo femminile quanto il classico tubino nero, che trovo molto sensuale. Aborrisco la pacchianeria, pure nelle pettinature, quelle troppo elaborate rivelano una concentrazione esagerata su se stessi nonché il bisogno di attirare l'attenzione mediante l'esasperazione. Tempo sprecato, mie care amiche, che ignorate che la bellezza è spontaneità e che la donna capace di stregare un uomo non è quella che ricorre a formule magiche o look da panterona, bensì quella normale, non costruita in laboratorio. L'icona che la rappresenta meglio, a mio avviso, è l'attrice Jeanne Moreau, che fu il mio primo amore. Non appena da ragazzino la vidi sul grande schermo me ne innamorai, nonostante ella non fosse bella nel senso convenzionale. Tuttavia, era elegante, naturale e soprattutto particolare con la sua boccuccia all'ingiù che la rendeva unica, diversa dalle altre. Non ho mai cambiato gusti: ancora oggi l'esibizione mi infastidisce e di una signora mi attrae il modo in cui si porge, ossia la sua personalità. Sono affascinato dalle dame che si vestono un po' da uomini, che portano gonne grigie e severe, mocassini, giacche di tweed in stile un po' british, forse perché mi ricordano la mia cara zia Narcisa, professoressa dal carattere duro. Le donne forti sono le meno ipocrite. L'imperativo categorico che costringe il gentil sesso a essere sexy in ogni occasione ha rotto il ca**o. Sembra un'imposizione costante, che ci ossessiona. Si tratta del retaggio di una cultura atavica, che concepiva la femmina quale un oggetto da esibire e che deve suscitare gradimento. Perfino oggi le signore di ogni età ne sono schiave, non si sono emancipate dall'obbligo di fare eccitare il sesso opposto ovunque, incluso l'ufficio, dove spesso si recano più scoperte che coperte. Non è una virtù esibire i muscoli, le tette, la ricchezza, l'erudizione, le gambe, che vanno valorizzate ma non ostentate. Tuttavia, mi tocca ammettere che le sfilate degli uomini sono di gran lunga peggiori rispetto a quelle del sesso opposto. Le passerelle maschili sono comiche, addirittura esilaranti, e gli stilisti hanno un tale cattivo gusto che riescono a sbattertelo in faccia con compiacimento. Penso, per esempio, ai modelli che portano la gonna. Dovremmo fare un passo indietro e riscoprire il valore della bellezza, che non consiste in quella perfezione fisica che oggi inseguiamo a ogni costo, bensì nella pulizia e nell'ordine. Essa risiede in un viso pulito, in capelli profumati, in mani curate, in uno sguardo pudico, in un orlo benfatto. di Vittorio Feltri

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