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Nanni Moretti, il delirio contro Matteo Salvini: per lui il leghista è come il dittatore Pinochet

Davide Locano
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La scena, ammettiamolo, possiede una sua fascinosa perversione. Matteo Salvini inquartato nella divisa azzurra e nei baffetti di Pinochet, mentre istruisce le squadracce leghiste in stile Operazione Condor cilena e affida la politica economica del paese ai monetaristi pazzi dei Chicago Boys per strangolare i ceti medi; bè, ha un che d' immaginifico. Per mettere Salvini nei panni di un haciendero cileno asceso alla dittatura ci vorrebbe un bel po' di talento creativo. E, infatti, voilà, eccoti materializzarsi il Nanni Moretti; il quale, emerso dall' oblio giusto in tempo per pubblicizzare il suo nuovo film Santiago, Italia sul golpe del '73, dichiara a Repubblica: «Finite le riprese, è diventato ministro dell' Interno Matteo Salvini. E allora ho capito perché avevo girato quel film. L' ho capito a posteriori». A posteriori. Un' agnizione politica di tipo retroattivo, insomma: roba che neanche la visione di De Gasperi alla Conferenza di Parigi del '46. Continua Moretti, attizzato dal direttore del quotidiano, Mario Calabresi in persona, evidentemente richiamando il governo gialloverde: «Ci sono forze politiche che vengono votate nonostante la loro violenza, ma proprio perché ne fanno uso. La solidarietà, l' umanità, la curiosità e la compassione verso gli altri sembrano essere bandite... C' è uno slittamento progressivo ma inarrestabile verso la mancanza di umanità e di pietà...». Ah, ecco. Ecco, cosa mancava, dunque, nello sguardo dello statista Salvini: l' umanità e la pietà verso i deboli e gli oppressi. Quella stessa umanità, evidentemente, che la sinistra dei girotondi morettiani evocava, sorseggiando un Brunello di Montalcino, dalle terrazze romane; un' umanità scossa, disillusa, intrappolata nella retorica minimalista che attraversa perfino i racconti autolesionisti di Ettore Scola o di Michele Apicella, moralista moderno nonché alter ego dello stesso Moretti. ERRORI SINISTRI Certo, nella suddetta intervista Moretti racconta del Pd «che sbaglia e ha sbagliato e si perde in battibecchi interni che non interessano a nessuno», quando in realtà «ci sarebbe spazio per una forza razionale, seriamente riformista ed europeista». E, in tutt' onestà, il regista afferma pure: «Salvini fa il suo mestiere, ma la sinistra dov' è? Non far passere la legge per la cittadinanza è stata una cosa gravissima». E qui uno potrebbe dire: rieccolo, il Nanni contro la sinistra. Quello infuocato de La cosa, il cortometraggio del 90 che s' incuneava nel dibattito tra militanti ex comunisti, o quello malinconico di Aprile immerso nell' Italia elettorale del '94. Rieccolo, il Nanni che era stato politicamente inghiottito dall' ombra di Bersani; il disertore che da quel 22 febbraio 2013, giorno in cui dal Teatro Ambra Jovinelli -sancta sanctorum della sinistra artistica- si spese affannosamente per il Pd dell' amico Pierluigi, pur non avendo intuito che Renzi avrebbe fatto carne di porco di quella dirigenza che per anni lo stesso Nanni aveva lapidato («Con questi non vinceremo mai», disse nel 2001 all' indimenticato comizio dell' Ulivo a piazza Navona, e aveva ragione). Nel nuovo Moretti c' è effettivamente un tenue j' accuse verso un partito, il Pd, oramai all' estrema unzione. Però il suo principale messaggio è chiaro: Salvini e Di Maio sono fascisti. Salvini un po' di più. Ed è il medesimo assunto che la sinistra, esausta, acciaccata, tambureggia oramai in tutt' Europa. Un refrain espresso, solo qualche giorno fa, per esempio, da Yanis Varoufakis. Leggi anche: Salvini sbugiarda Di Maio: "Reddito di cittadinanza, come stanno le cose" FASCISMI L'economista greco, ex ministro delle finanze del primo governo Tsipras, aveva dichiarato nel programma Night Tabloid su Raidue: «Io ho vissuto sotto i fascisti e so riconoscerne uno: Salvini è un fascista!», suscitando la sola reazione dell' ospite Bruno Vespa che gli dava dell' ignorante, sostenuto dalla conduttrice Annalisa Bruchi. Ma il "fascismo" è una cosa troppo seria per lasciarla alla sinistra. Spiegava proprio Vespa che il fascismo fu, nella sua accezione peggiore, dittatura, privazione di libertà, soppressione di pensiero e d' ideali antagonisti, contrazione dei diritti civili e umani. E la nostra Costituzione e il nostro sistema elettorale e, in fin dei conti, il buonsenso degli italiani sono lucchetti solidi: blindano la nostra democrazia a qualsiasi deriva autoritaria. E ricordarlo è una banalità puerile. Interessante è, invece, osservare quanto il "fascismo" di Salvini ritorni oggi come espediente retorico e/o collante ideologico per una sinistra sopraffatta dal suo stesso cupio dissolvi. Ed è proprio la paura di sparire, di sparpagliarsi in pulviscoli ideologici, a spingere il Pd a caricaturare Salvini. Il quale, per paradosso, nasce politicamente proprio a sinistra. Ma dove sta il fascismo di Salvini? Nel fermo degli immigrati? Ma allora è fascista anche Minniti che ha ridotto del 60% i flussi migratori. Nella predilezione per, diciamo, i ceti produttivi? Allora Bersani, l' uomo delle liberalizzazioni o Renzi, o Calenda son fascistissimi. Nell'autoritarismo? Dunque, anche D' Alema quando aveva potere di vita e di morte sul 25% dei delegati Pci era fascista. Ma qui il discorso diventa filosofico. L'accusa di fascismo, in realtà, è un manganello universale. «Per certi comunisti, se sei anticomunista sei subito definito fascista. Questo è incomprensibile, quanto affermare che se non sei cattolico sei un mormone»; lo diceva J.L. Borges, scampato per un soffio alla dittatura argentina di Videla. Non so se sarebbe finito anche lui tra i cattivi in orbace di Moretti di Francesco Specchia

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