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Arbore: "Così ho scoperto BattistiLo costrinsi a salire sul palco"

Leonardo Iannaci
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«Il mio segreto? Essermi finto, in tutti questi ultimi anni, un vecchietto. Ho inventato malanni alla schiena, zoppicando, lamentandomi... Ora, da anziano vero, non faccio più notizia, con quelle sceneggiate avevo già preparato tutti ai miei 76 anni». Renzo Arbore, laureato in goliardia, trova sempre la strada giusta per affrontare con leggerezza un'intervista. Difatti, è quasi impossibile intervistarlo visto che è sempre lui a guidare l'incontro, a scegliere i ritmi giusti, a darne brillantezza.  D'altronde è ben allenato, lo ha sempre fatto in televisione quando ha inventato programmi rivoluzionari (L'Altra Domenica, Doc, Quelli della Notte, Indietro Tutta...) e lanciato personaggi iconoclasti quali Benigni, Andy Luotto, Nino Frassica, Milly Carlucci, Catalano, Marisa Laurito. Incontriamo questo istrione dello show-business a margine di uno dei concerti della sua Orchestra Italiana («Il clarinetto io lo suono benino, non come Woody Allen...», sottolinea) e nella prima estate senza Mariangela Melato, il grande amore di una vita («un vuoto nelle mie giornate...», aggiunge serio). Arbore, in televisione lei c'è ma non c'è: ogni domenica pomeriggio vanno in onda le repliche di Processo a Sanremo e nella striscia quotidiana TechTecheTè lei spopola. «Questo è il mio segreto: 20-30 anni fa ho ideato programmi che rappresenta l'altra televisione, erano una presa in giro a format consueti. L'Altra Domenica era una risposta irriverente a Domenica In, Indietro Tutta ai talk-show, mentre il Processo a Sanremo un'analisi scherzosa del Festival. Il risultato? 30 anni dopo sono ancora in tv pur non facendola più».  La differenza tra la tv di ieri e quella di oggi? «All'epoca arricchiva il pubblico, oggi lo consuma».  Presenterebbe un talent show, lei che di talenti ne ha lanciati tanti? «No. Emma, musicalmente, deve tutto ad alcune esibizioni che fece in radio prima di Amici. Quelli sono format che non aiutano la musica in genere. Se un giovane suona bene in clarinetto o il pianoforte è spacciato, difficile che un talent lo aiuti».  Condurrebbe Sanremo al posto di Fazio? «All'Ariston sono andato in gara con Il Clarinetto nel 1986. Avevo vinto ma, chissà come mai, arrivai alla fine secondo dietro Ramazzotti».  Vero che Mara Venier l'avrebbe voluto ospite fisso alla prossima Domenica In? «Mai pensato di andarci. Piuttosto tornerò in autunno con L'Altra, format carino Rai presentato da Caterina Stagno. Un programma semplice: Caterina introduce spezzoni di miei programmi, sul divano ci sono ospiti, parliamo, scherziamo, ricordiamo. E poi sto perfezionando Renzo Arbore Channel, la mia tv in streaming». La sua rimane una tv semplice ma irripetibile. Il segreto? «Tutta la tv fatta in Rai era di qualità. Pensate ai grandi autori e registi dell'epoca, da Antonello Falqui a Enzo Trapani. Oggi la buona tv la vediamo soltanto in terza se non in quarta serata. Infatti L'Altra andrà in onda a mezzanotte circa». Come scovava i suoi incredibili personaggi? «Dalla vita di tutti i giorni. Milly Carlucci mi colpì perché era una ragazzina che parlava in continuazione e oggi continua a farlo, non ha mai smesso... Frassica lo scoprii tramite una sua telefonata; alzai la cornetta e si presentò così: questa è la segreteria telefonica di Nino Frassica che desidera conoscere il signor Arbore. Pensai: è il tipo perfetto per Indietro tutta».  Lei ha sempre preso in giro la tv convenzionale creandone, però, una inimitabile. «Alternativa, aggiungo. Nel 1969, dopo i fasti in radio di Bandiera Gialla e Alto Gradimento, proposi alla Rai un format innovativo al quale sono legatissimo». Allude a Speciale per voi? «Sì. Ospiti erano i cantanti big dell'epoca, spesso messi alla berlina dal pubblico in studio. Accadde di tutto. La Caselli, criticata da un ragazzo in studio, scappò via piangendo. Claudio Villa si sentì dire: lei non sa cantare, e litigò col pubblico». Un programma da rifare subito... «Oggi nessun cantante rischierebbe tanto».  In quell'arena venne fustigato persino Lucio Battisti. «A Lucio sono legato per motivi personali. Una sua canzone fece innamorare me e Mariangela. E poi per un fatto che nessuno sa: lui era ancora uno sconosciuto, si presentò a me nel 1968 spiegando che avrebbe voluto scrivere roba per altri. “Io non ho la voce adatta”, disse. Ci canticchiò un paio di brani e capii subito chi avevo di fronte. Così lo costrinsi con la forza a salire sul palco. E diventò Battisti». Lei è laureato in legge e in goliardia: cosa significa essere goliardi a vita? «Le racconto la breve lezioncina che tenni a Bologna il giorno del conferimento di quella simpatica laurea ad honorem. Feci la seguente domanda ai professori dell'Università riuniti in conclave: “Che tempo del verbo è Non si sarebbe dovuto rompere?”. Silenzio nell'aula, non rispondeva nessuno... E io: “Preservativo imperfetto!”, passò un secondo interminabile e poi, standing ovation! Ecco cosa significa goliardi». Leonardo Iannacci

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