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La "regina" Grace Hall: "Il burlesque mi rende libera. E non chiamatemi ballerina"

L'artista italiana madrina del celebre festival "vintage" di Senigallia: "Non volevo essere legata a un sistema, e così giro il mondo col mio valigione"

Giulio Bucchi
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La regina del burlesque Grace Hall è la madrina dell'edizione 2013 del Summer Jamboree, evento che ogni estate attira a Senigallia migliaia di persone. La incontriamo al termine della prima presentazione. E' raggiante, ma anche visibilmente emozionata. Vogliamo farle qualche domanda; risponde sorridente, con simpatia ed ironia, doti queste ultime subito notate ed apprezzate da pubblico, giornalisti e fotografi. Chi é Emma Nitti? E chi é Grace?  "Nasco come attrice col nome di Emma Nitti. Da diversi anni, poi, faccio spettacoli di burlesque arricchiti da canto ballo e recitazione. Alcuni li presento anche ed è in questo mondo che si muove il mio alter ego Grace Hall". Una passione particolare! Come nasce? "Da bambina quando desideravo essere una soubrette, ma non una di quelle di oggi una soubrette d'antan e ho intravisto nel burlesque molta libertà".  Libertà?  "Sì. Come saprai l'attore dipende da un sistema, da una produzione, da un regista e così via. Nel burlesque posso invece gestire il mio spettacolo a 360° ricoprendo ruolo di attrice, regista, coreografa, costumista. Giro il mondo col mio valigione".  Proprio vecchio stile... "Sono appena tornata da un importante tour internazionale negli Usa: tre settimane in Nevada e West coast; mi sono anche esibita in Europa in Germania e Inghilterra". Artista, presentatrice ma anche direttrice di una scuola a Roma. Quale consiglio daresti ad un'aspirante ballerina di burlesque? "Ballerina? Termine che non mi piace. Il nostro è uno spettacolo che si compone di varie abilità e l'artista burlesque si concentra più sui toni musicali che non propriamente sul balletto. Per tornare alla tua domanda: direi ad una ragazza di studiare ed impegnarsi molto, di conoscere le geometrie del palcoscenico ed imparare a sentire il pubblico, perché a seconda del pubblico col quale interagiamo deve cambiare il nostro linguaggio".  di Marco Petrelli

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