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Che tempo che fa, Fabio Fazio e il vergognoso silenzio sulla sparata di Mimmo Lucano sul nazismo

Davide Locano
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«Anche le leggi del periodo nazista erano legalità ma è stato un dramma per l'umanità». Mimmo Lucano, sindaco di Riace, risponde così a Fabio Fazio ospite di Che tempo che fa alla domanda se un amministratore può fare accoglienza rispettando le leggi. «Alle volte, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina significa che i pescatori devono rimanere a guardare la gente che annega senza fare niente». Domenico Lucano, già nell'intervista a Repubblica pubblicata ieri l'aveva detto chiaro e tondo: «Mi hanno reso importante, proprio io che dico tante cazzate». Un'autodiagnosi ineccepibile, considerato che poche ore dopo l'ex sindaco di Riace è stato accolto con tutti gli onori nel salotto televisivo di Fabio Fazio. Leggi anche: Petrolio, il durissimo attacco politico a Giammaria Leggendo la suddetta intervista a Repubblica si resta tramortiti: un'agiografia capace di superare ogni senso del ridicolo e della misura. Tra i passaggi memorabili, quello in cui Mimmo strizza l'occhio all'intervistatore asserendo, serafico: «Sei finito dentro la storia». Tra le altre cose, il politico calabrese (rinnegato politicamente dal suo primogenito Roberto, che alle ultime elezioni organizzò il movimento «Scheda bianca per Riace», arrivando a contestarlo pubblicamente) sostiene che nella sua cittadina la proprietà privata «non serve: il modello è quello delle comuni degli anarchici francesi \[…\]», dove per acquistare beni ci si può servire di una moneta - voucher con l'effigie di Che Guevara, che alcune Fondazioni private potrebbero acquistare, per finanziare il progetto. Del resto, per Lucano «Riace è il nome di una fiaba», dove gli immigrati (che nel 2015 erano 700, su 1.600 abitanti) non commettono alcun reato e passano le giornate a confezionare vasi di Kabul, frantoi… Una favola, per l'appunto, che si vorrebbe esportare in tutto il Sud Italia, accogliendo i tanti immigrati he arrivano dal mare per resuscitare un Paese morto». La folgorazione - racconta Lucano su Rai1 - sarebbe scattata 20 anni fa, quando un vascello con 250 profughi del kurdistan turco e iracheno è approdato sulle nostre coste. Da quel momento il politico calabrese ha capito che quella era la sua missione: arginare il fenomeno dello spopolamento dei piccoli paesi rimpiazzando gli italiani che se ne vanno con gli immigrati, costruendo una “comunità globale”. Degno di nota anche il passaggio relativo all'assegnazione - senza gara - della raccolta dei rifiuti, che l'attivista di sinistra avrebbe assegnato direttamente «alla sola cooperativa che aveva un asino». Confidandosi con Fabio Fazio, l'ex primo cittadino specifica che il matrimonio combinato che quest'ultimo avrebbe orchestrato per facilitare l'integrazione di una prostituta nigeriana sarebbe stata una cerimonia assolutamente regolare e che nella sua cittadina non risiede alcun clandestino: tutti gli stranieri residenti sarebbero quindi rifugiati, richiedenti asilo o titolari di protezione umanitaria. Rispondendo a chi gli chiede se si sente vittima del clima politico, il nuovo guru dell'élite liberal afferma che «non mi ha certo arrestato Salvini, non ha questo potere. Ma anche la giustizia, si sa, è figlia del suo tempo, dei suoi pregiudizi». Salvo poi aggiungere che «Riace era, anzi è, uno scandalo troppo di sinistra nella brutta Italia di destra che stanno costruendo». L'auspicio è che i magistrati revochino «questo provvedimento sadico» che gli impedisce di tornare a casa. A commentare le esternazioni di Lucano è stato ieri il vicepremier Matteo Salvini: «L'arrestato ex sindaco di Riace» scrive il leader leghista su Facebook, «dopo aver confermato che tutto il Sud dovrebbe essere “ripopolato” con immigrati africani, dice che la proprietà privata “non serve” e che se ha commesso “errori” (leggi: reati) è perché “si confonde”. E questo sarebbe il modello di "buongoverno" che Pd, sinistra, professoroni e giornaloni \[…\] vorrebbero esportare in tutta Italia? Follia. Per fortuna vincerà il modello Lega». di Andrea E. Cappelli

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