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Franchino, la voce della techno italiana: 'Il successo, le discoteche, la malattia, vi racconto la mia favola'

Leonardo Filomeno
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Il video in cui taglia le siepi vestito da Edward mani di forbice è diventato un cult nel giro di poche ore. “Sono io, non interpreto dei ruoli, non ne sarei capace”, ripete Franchino a bassa voce. Stessi abiti e stesso spettacolo sabato 11 febbraio al Bolgia di Bergamo, tempio internazionale dell’elettronica. Per Francesco Principato da Caronia, toscano d’adozione, classe ’53, innamorato delle sue figlie, del mare e del Brasile, il compleanno nel top club sull’A4 è un rito a cui è impossibile rinunciare. L’anno scorso era The Mask, quello prima Capitan Uncino. È stato tra i creatori della scena elettronica italiana negli anni ’90. E oggi è una leggenda vivente anche per chi non vive di notte. Più di un cantastorie, un personaggio senza tempo che sbuca dal mondo delle fiabe per portare un pizzico di follia nella vita di chi lo incontra. Re dei vocalist d’Italia, compagno di viaggio prediletto per almeno tre generazioni di nottambuli, ama senz’altro scherzare: “Ho sempre vissuto come i personaggi che interpreto al Bolgia, magari nelle mie vite precedenti ero uno di loro. Travestirmi non mi costa nessuna fatica”.

Con la moda hai cominciato che avevi appena 13 anni. 
“Subito dopo le medie. Ho alternato a lungo: di notte facevo il dj, di giorno tagliavo i capelli sull’Isola d’Elba. Verso la fine degli anni’ 80, ho capito che era arrivato il momento di fare il Franchino della situazione… e ho fatto il Franchino della situazione (ridacchia, ndr)”.
Come l’hai capito? 
“Nell’estate dell’88 passavo le notti tra il Pacha e l’Amnesia di Ibiza. Durante quel periodo ho scoperto la house music e sono impazzito. L’ispirazione mi venne sull’isola, infatti da lì a pochi anni, attorno al ’92, partì la mia avventura come cantastorie. Ed eccomi ancora qua”.
Le feste all’Imperiale e all’Insomnia sono mitologia pura. 
“Con Ricky Le Roy, Farfa e Mario Più andavamo avanti anche per 12 ore di fila. Ciò che è stato fatto 25 anni fa oggi possiamo solo ricordarlo, non c’era mai stato né ci sarà più niente di simile al mondo. Chi c’era può dirsi fortunato, chi è sopravvissuto a quel periodo lo legge nella storia”.
Hai visto in quanti si stanno riaffacciando da quel passato?
“Noto un graduale risveglio nel clubbing italiano, c’è più voglia di lavorare. Anche a livello discografico, stanno tornando etichette importanti come la BXR di Gianfranco Bortolotti, con cui ho lavorato anni fa. In tanti si erano appannati, magari stanchi delle regole del sistema musicale e dell’andazzo della nightlife, che in termini economici non rende più come un tempo. Il periodo che va dal 2009 al 2014 è stato tragico. La dimensione più club ha sofferto l’esplosione dei festival, in quanto tutti gli investimenti più importanti sono stati dirottati in quella direzione. Oggi assistiamo ad una ridistribuzione sensata dei ruoli”.
La conquista più bella in tutti questi anni?  
“La mia bravura nel saper maneggiare gli strumenti per fare musica, un tempo non ne ero capace. Quando lavoravo con la BXR e con mio nipote, erano loro a produrre i dischi per me. Un partner come Jo Gala oggi mi completa, è un grande musicista, dal vivo mi permette di esprimermi ai massimi livelli. Per il resto, devo tutto a Franchino. Sono stato bravo a restare in alto dopo tutti questi anni. Negli anni ’70 la vita da artista era inconcepibile, ma io non ho mai tradito la musica, anche quando tutti mi davano del pazzo”.
Hai detto: “Negli anni ’90 l’ho presa troppo alla leggera”.
“Il successo galoppava forte, vivevo a mille all’ora. Intanto miti techno come Richie Hawtin o Carl Cox gettavano le basi di quel lavoro di squadra che li avrebbe portati a diventare numeri uno nel mondo con i loro party. Se mi fossi gestito meglio, sarei al loro stesso livello, se non addirittura più in alto. Resto il numero uno, ma solo in Italia”.
Il momento più bello della tua favola? 
“Oggi vivo il mio finale felice. Dopo tante gioie e disavventure, per il cantastorie è arrivato è arrivato il momento di superare se stesso. Una festa con Franchino a Miami o a Ibiza sarebbe il massimo. A Ibiza qualcosa in ballo c’è”.
“Il male fa venire voglia di vivere” è una frase che non si dimentica.  
“Intorno al 2000 mi sono gravemente ammalato. Per la prima volta nella mia vita, tutto ha iniziato a tremare forte, ho dovuto guardare la paura negli occhi. Ho vinto la mia battaglia, ma le cure hanno pregiudicato il dopo: gli effetti collaterali non si dimenticano di chiedere il conto”.
La percezione del dolore poi come cambia?
“È chiaro che anche una polmonite o un raffreddore ti facciano ridere. Però quello che ti lascia un’esperienza del genere è la paura di poterti ammalare ancora, finisci per vivere nel terrore ogni tipo di acciacco”.
 Il motto “Vivere per vivere” oggi che sfumature assume?
“Ho due bimbe, di 5 e 12 anni, avute con la mia attuale compagna, Michela, ed una figlia più grande avuta con la mia ex moglie: senza volerlo, sono loro che mi permettono di vivere, che mi impongono di stare al passo, è a loro che devo dimostrare ogni giorno di essere sempre il numero uno”.
L’autostima certo non ti manca. 
“Come non mi manca una grande propensione al lavoro. Ho sempre lavorato, sono 50 anni che lavoro, volendo potrei lavorare fino all’ultimo giorno. Oggi il mio lavoro è nella musica. E’ difficile che io smetta di fare musica, di stare in mezzo la musica”.
Franchino fino alla fine? 
“Franchino alla fine. Nessuna catastrofe potrà tirare giù dal palco il cantastorie della notte”.


 

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