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Al Bano choc, "Io e Romina costretti a farlo". La vergogna della sinistra italiana

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Non sarà un "triello" simile a quello ideato da Sergio Leone per il finale Il Buono, il Brutto e il Cattivo. Ma una suggestiva sfida tra amici veri, a suon di acuti e di canzoni che stiamo tutti canticchiando da mezzo secolo e che fanno parte della nostra vita. Al Bano, Gianni Morandi e Massimo Ranieri (in rigoroso ordine alfabetico) riempiranno di sana nostalgia la sera di mercoledì 8 febbraio a Sanremo. Il loro è un progetto rimasto per anni nel cassetto, come ci racconta Al Bano, appena entrato in un anno particolare, visto che sta tagliando il traguardo degli 80. Al Bano, lei non dimostra 80 anni, però. Ha un'energia che trovarla in giro è cosa rara... «Infatti il prossimo 20 maggio non compirò 80 anni ma quattro volte 20».

 

 

 

Torna all'Ariston con due suoi vecchi compari: un'operazione di marketing? 
«Affatto. Gianni e Massimo sono due uomini veri e due amici. E poi il Festival è un'iniezione di adrenalina, regala sempre un brivido speciale, mi fa tornare ragazzo e dà un senso alla vita. Una volta nei camerini ho visto il grande Ray Charles, prima di un'esibizione, tremare come una foglia e dirmi: ho paura, non so cosa mi stia succedendo stasera».
Al Bano-Morandi-Ranieri: i tre tenorini? 
«Il progetto è vecchio di 30 anni ma abbiamo sempre rimandato. Merito di Morandi che ci ha riuniti».
Un giorno Morandi disse: "con quella voce Al Bano mi sfonderà. E con lui, anche Massimo". 
«Sciocchezze. Gianni è un grandissimo artista. L'ho sempre ammirato, anche come persona: quando era in crisi negli anni '70 ed ebbe il merito di ricominciare da zero, dimostrò che uno su mille ce la fa davvero».

 

 

 


Cosa unisce un bolognese, un napoletano e un pugliese come siete voi? 
«Le nostre origini e le nostre storie. Veniamo da quella sana povertà di un Italia che, negli anni '50, esaltava solo il lavoro e chi aveva voglia di fare».
Un messaggio per l'Italia scansafatiche di oggi? 
«Noi tre abbiamo respirato la stessa atmosfera agra di quel periodo, ma ce l'abbiamo fatta rimboccandoci le maniche: siamo grandi lavoratori e questo deve essere un esempio. Rappresentiamo, fatto importante, anche geograficamente il paese. Gianni figlio di un ciabattino emiliano, io di un contadino del Sud, Massimo di una famiglia povera napoletana».

 

 

 


Lei ha fatto il '68 sul palco di Sanremo, vero? 
«Sì, cantai La siepe, una canzone sull'immigrazione, tema oggi molto attuale sul quale si stanno gettando in molti».
Intende che anche lei è stato un artista impegnato? 
«Socialmente sì. Poi, negli anni '70, un certo tipo di potere discografico e politico ha fatto fuori gran parte degli artisti che andavano forte ma non si allineavano. E hanno vissuto anni bui».
E Al Bano? 
«Io e Romina Power siamo stati costretti a emigrare all'estero e fu un colpo di fortuna: in Francia abbiamo venduto, con la canzone We' ll live it all again, un milione di copie, poi Dialogo ha avuto successo in tutto il mondo».
Non faccia la vittima... 
«Quale vittima? Ho conosciuto artisti che si schieravano politicamente, in quegli anni, soltanto per vendere dischi. Io mai».
Il Sanremo più bello? 
«Ne ho fatti 15, ma resta speciale quello che ho vinto insieme alla signora Power nel 1984 con Ci sarà: raccogliemmo 3.900.000 voti».
Il più triste? 
«Triste no, di rinascita. Nel 1996 presentai un brano che era un'autobiografia in musica: È la mia vita. Raccontava le angosce personali di quel momento, da Ylenia alla fine con Romina».
A 80 anni cosa si fa?
«Vado in in tour. Lo show si chiamerà È la mia vita».
Con Romina?
«No. Questa è la mia, di vita. La nostra è stata come l'impero romano d'occidente: un giorno è crollato».
Quindi secondo divorzio, e stavolta artistico, dalla Power?
«Ma no... Se ci sarà l'occasione torneremo sul palco insieme. Magari all'Arena di Verona. La musica unisce e la gente vuole rivederci insieme sul palco per farsi delle domande».
Qual è la vera felicità per lei?
«Svegliarmi all'alba, montare sul trattorino e controllare i campi e i vigneti nella mia tenuta di Cutripritizzi. Sono un contadino. Vengo dalla terra».

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