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Fabio Fazio, "lo schema Vannacci": la bomba contro la Rai

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Cita i suoi tre maestri, Fabio Fazio. E tutto per poter massacrare con un certo malcelato godimento la Rai che ha lasciato pochi mesi fa. La "Tele-Meloni", come l'hanno subito prontamente battezzata a sinistra, evidentemente scossi dall'inusitato cambio di regime a viale Mazzini.

Tra poche ore il re dei salottini radical-chic televisivi italiani debutterà sul Nove, a Discovery, con il suo talk Che tempo che fa. Non promette rivoluzioni nel format, per non disorientare ulteriormente il pubblico, ma nel frattempo il conduttore savonese intervistato da La Stampa inizia a scaldare il clima. La sfida a distanza con la concorrenza di viale Mazzini non è facile, ancora di più forse il confronto con se stesso e il CTCF versione Rai, che lo scorso anno (non il migliore, in termini di numeri) metteva insieme 2,4 milioni di telespettatori di media e l'11,8% di share. 

 

 

 

Quando l'intervistatrice gli chiede un parere sulla Rai de-fazizzata, Fabietto scrolla apparentemente le spalle: "In questi 40 anni non ho mai dato giudizi sui miei colleghi, visto che ne ho letti tanti, spesso un po' troppo affrettati e poco cortesi, su di me". E qui inizia a intravedersi il dente avvelenato. "Siccome conosco il lavoro e la difficoltà che c'è dietro, credo che sia doveroso rispettare le scelte e l'impegno di tutti. Certo è che ora non posso competere con la Rai. Peraltro, al massimo dovrei competere con i miei risultati". Appunto.

 

 

 

Al posto di Che tempo che fa, domenica sera ha già debuttato Chesarà..., condotto da Serena Bortone. Il collega ammette di averlo guardato: "Mi interessava capire se fosse un talk o meno. È un talk". Sembra gongolare, però, di fronte alle difficoltà inevitabili affrontate dai programmi, apripista di un nuovo corso. Ci sarebbe, suggerisce Fazio, un problema politico perché "il pubblico è una cosa e gli elettori sono un'altra. Se fai spettacolo, devi obbedire alle regole dello spettacolo e della comunicazione, non al codice politico".

 

 

 

In tv, gli chiedono, non vale la regola del successo del generale Roberto Vannacci, dire le cose che tutti pensano e nessuno osa dire? "Ma tutti chi, scusi? - risposta quasi stizzita di Fazio - Tutti meno quelli che non lo pensano, forse. E non esiste il diritto di dire tutto quello che si pensa. La libertà implica anche il non dire o non fare, perché la libertà non esiste disgiunta dalla responsabilità. È molto di comodo questa lettura drastica e massimalista: serve a sdoganare l'aggressività. Quando ho iniziato a fare questo mestiere, in radio, in un programma dove sono rimasto per 25 anni, Black Out, c'erano con me maestri di prim'ordine, Enrico Vaime, Guido Sacerdote, Antonello Falqui, Luciano Salce. Mi dicevano sempre: 'Guarda che ci vuole la patente per dire quella battuta'. La patente è la consapevolezza. Le parole sono molto preziose e delicate. E farne buon uso per quel che mi riguarda è un gesto di responsabilità fondamentale". E lui, pare essere il messaggio sottinteso, la sa usare benissimo.

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