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Space: 1999, su RaiPlay alle origini della (bella) fantascienza

Francesco Specchia
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Se sei un politico, una banca o una scintillante serie di fantascienza anni 70, mai impegnarti troppo sulle date di scadenza e sulle previsioni del futuro. Eppure, anche se oggi (come per 1999: Fuga da New York, o il romanzo Le meraviglie del 2000 di Salgari) Spazio:1999, dato il suo ingombro anagrafico, ha un chiaro sapore anacronistico; be’, la sua leggenda senza tempo gli consente di vivere una nuova vita.

Oggi Spazio:1999, risposta britannica a Star Trek e telefilm di fantascienza tra i più cool di sempre, viene inoculato a dosi omeopatiche alla generazioni dei nostri figli. Che, di prim’acchitto, penseranno che il capitano Koenig sia, al massimo, un centrocampista con fascia al braccio del Manchester United; e non un astrofisico, americano, membro dell’Amministrazione Spaziale Internazionale che salva i suoi uomini dall’apocalisse e li porta in salvo sulla Luna (come voleva la trama). Ma, in fondo è un bene, questa riproposta degli stilemi classici della fantascienza moderna innestati in un mondo cinematografico che oggi si nutre quasi esclusivamente di supereroi. Ispirata ai grandi romanzi di Isaac Asimov, Ray Bradubury, Fredric Brown e, prima ancora ai “cicli marziani” di Edgar Rice Burroghs, la serie creata da Gerry Anderson e sua moglie, venne prodotta nel 1975 dalla londinese Itc e dalla stessa Rai; oggirivive su RaiPlay come fenomeno di controcultura in una seconda stagione restaurata. La prima stagione in streaming – per incisoaveva raccolto, l’anno passato, un milione e mezzo di visualizzazioni- totalmente rimasterizzata da Rai Teche e in versione Hd con audio orginale; e la sua recentissima riproposta a Lucca Comics è stata un evento totalizzante che ha abbracciato padri e figli. Spazio:1999 si snodava su una idea di base geniale e apocalittica. La storia, ambientata, come dice il titolo, nel 1999, racconta le avventure della base lunare Alfa che ha lo scopo di studiare un nuovo pianeta Meta per scoprire se contiene risorse utili all’uomo.

 

A causa però di vari incidenti alcuni membri dell’equipaggio vengono colpiti e un’esplosione violenta, e finisce per provocare l’uscita della Luna dall’orbita terrestre. Per l’equipaggio di Alfa inizia l’odissea per il cosmo: un’odissea che li porterà in contatto con civiltà aliene talvolta ostili talvolta amichevoli. Da lì, via via, nei pomeriggi della Rai di cinquant’anni fa, cominciò a delinearsi una commedia umana implacabile con i suoi bizzarri eroi. Anderson voleva realizzare «un progetto diverso, più “serio” rispetto a Star Trek» ma voleva raggiungere anche il pubblico americano per quello ingaggiò nei ruoli dei protagonisti due star di Hollywood come Martin Landau e Barbara Bain nei panni del capitano John Koenig e della dottoressa Russell, il primo leader della base, la seconda responsabile medico dell’equipaggio. Non l’avevano mai dichiarato, ma sono sicuro che fossero amanti.

 

DESIGN IMPOSSIBILE

Attorno a loro (partners anche nella vita) giravano gli altri caratteri. C’erano: Victor Bergman, professore britannico, e ricercatore puro e geniale; e Alan Carter, australiano comandante della flotta delle Aquile, velivoli fighissimi ma dal design impossibile; e Tony Verdeschi, vicecomandante fiorentino che se la faceva con la mutaforma Maya. Maya, interpretata da Catherine Schell, spiccava come mutaforma in grado di trasformarsi in ogni cosa; ed era un sex symbol inconsapevole, sdrammatizzava l’aria cupa e farciva i nostri sogni fanciulleschi di ormoni inarrestabili. Nel racconto di Spazio:1999 trovavi di tutto. Naufraghi extraterrestri alla ricerca della terra promessa dalla loro camera di animazione sospesa; entità galattiche cattivelle che s’insinuano nelle coscienze dei terrestri superstiti; soli neri che impattano su asteroidi che deviano il corso della Luna; botte di antimateria che contagiano corpi e menti; cloni ingenui e sterminatori che paiono strappati al Doppelganger di Hoffman; sfere di luci blu che succhiano energia e creano zombi galattici. Poi c’era i laser ad impugnatura, roba da far impallidre Phili Starck. E così via. La sigla degli Oliver Onions era l’ipnotica colonna sonora. Spazio:1999 fornì una divertita chiave di lettura della conquista del cosmo. Che lo riscoprano i miei ragazzi mi proietta là «dove nessun uomo e mai giunto prima», come diceva un noto collega del capitano Koenig...

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