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Rai, fine del monopolio rosso: il nuovo sindacato terremota Viale Mazzini

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Giovanni Sallusti
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La giornata odierna, per una volta, ci apparecchia una notizia autentica, destinata a superare le ventiquattr’ore. Oggi muore infatti il gramscianesimo in Rai, l’egemonia incontrastata della Ditta progressista dentro una delle “casematte” per eccellenza del potere statale, per usare il linguaggio del padre del comunismo italiano. Le esequie sono convocate alle ore 17 a Roma, presso l’Auditorium Due Pini. Più che un funerale, in realtà si tratta di un battesimo.

Viene infatti ufficialmente presentata UniRai, così descritta dai fondatori nel comunicato di annuncio: «Nuova realtà associativa aperta a tutti i giornalisti della Rai, libera da ogni pregiudizio ideologico, lontana dalla propaganda politica e saldamente ancorata ai valori costituzionali». Ogni sostantivo, ogni aggettivo scavano un fossato con l’andazzo pluridecennale della Rai, leggasi col monopolio rosso (al massimo ritinto ad arcobaleno in era politicamente corretta) delle coscienze e delle tessere. Un monopolio che s’incarnava plasticamente nel Politburo chiamato Usigrai, “il” sindacato della tivù di Stato. È proprio la fine di quest’esclusiva che ha generato crisi d’isteria nei giornaloni progressisti (Stampa e Repubblica in testa), i quali nelle settimane scorse hanno strillato all’avvento del «sindacato sovranista». In realtà, al momento UniRai è un’associazione con all’attivo circa 300 iscritti, anche se non ci sono limiti all’evoluzione ulteriore del progetto.

 

 


 

PANICO
La sua stessa nascita è stata però sufficiente per seminare il panico nella più grande industria culturale del Paese. I mal di pancia sono poi aumentati di fronte ad alcuni nomi che interverranno oggi, non esattamente gli ultimi mozzi della nave: l’evento è condotto da Francesco Giorgino, volto storico Rai e già vicedirettore del Tg1; l’associazione è presentata dall’inviata di Porta a Porta Giancarla Rondinelli e da Umberto Avallone (che proviene dall’esperienza “progressista” di Noi giornalisti Rai, la polifonia è anzitutto interna); la tessera numero uno è quella di Claudio Pagliara, corrispondente da New York. Presenzierà inoltre il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Tutto ciò significa un bel mucchio di cose, perlopiù inedite. Anzitutto, per una volta la Rai segue la rivoluzione in corso nel Paese, piuttosto che replicare all’infinito i propri bizantinismi in quello spazio-tempo congelato che è stato spesso viale Mazzini.

 

 

 

La cappa culturale non esiste più, si palesa nei gangli vitali e intellettuali della nazione la dissonanza, la dialettica, l’“altro” punto di vista, che poi è quello coincidente con la sensibilità più diffusa nel Paese, quella che da Nixon in poi si chiama “maggioranza silenziosa”.  La quale, ed è questa la novità, inizia a parlare, anche nei templi del Verbo egemonico della minoranza chiassosa. Questa minoranza ha dibattuto per mesi su singoli conduttori che se andavano, su specifici programmi che traslocavano, su epurati immaginari e ricambi fisiologici, e intanto nel corpaccione di chi ogni giorno dà forma e contenuti alla tivù pubblica avveniva uno smottamento clamoroso. Attenzione: se avviene proprio lì, se la rivoluzione si rispecchia pure in un luogo gattopardesco per eccellenza, in controluce non si può non scorgere anche un segnale politico.

 

 

 

NOVITÀ URTICANTE
Detto sinteticamente: significa che l’esperimento liberal-conservatore del governo Meloni in realtà non è tale, non è un esperimento, è un paradigma destinato a durare, perché attecchisce su istanze profonde della società italiana. Altrimenti, non si sarebbe materializzato l’Impensabile, la rottura dell’egemonia in Rai. E la conseguente, urticante novità per i compagni dell’Usigrai: l’esistenza di una voce autonoma, di un potenziale antagonista, di quella brutta bestia che si chiama pluralismo delle idee.  Al momento non sembrano averla presa benissimo, visto che nella serata di ieri hanno diffuso una nota interna a «colleghe e colleghi» in merito «alla costituenda associazione UniRai». In essa, si «precisa» anzitutto che «nessuna interlocuzione è stata richiesta alla Segreteria Usigrai dagli animatori di questa nuova associazione». Di grazia, esimi (ex) monopolisti, ma perché diavolo avrebbero dovuto inoltrarvi una tale “richiesta”? Forse dovevano chiedervi il permesso di nascere? O ingabbiare un atto di democrazia nel centralismo democratico telecomandato da un Soviet, ovvero da voi stessi? Pare proprio di sì, visto che la surreale nota prosegue: «Saluteremmo con favore la nascita di una nuova componente interna all’Usigrai», mentre «non possiamo non far notare ai colleghi che la scelta di diventare un nuovo interlocutore per l’azienda si pone inevitabilmente in una logica di divisione del sindacato». Proprio così, e per fortuna. Pluralismo non è assorbire l’altro in una correntina di minoranza. Pluralismo è confrontarsi con le sue ragioni. Abituatevi. 

 

 

 

 

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