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Sandra Milo, maggiorata, disinibita e ironica: come ha conquistato Fellini

Giorgio Carbone
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Se n’è andata serenamente, Sandra Milo. Come serena era stata la sua vita. Pur scandita da lutti (la morte della madre) e da vicissitudini nella vita privata (tre matrimoni, di cui due falliti, ma senza clamore). Sandra Milo, detta Sandrocchia (fu Federico Fellini a soprannominarla così, suo mentore e, a intermittenza, suo amante), è stata una costante presenza nel cinema italiano per quasi 70 anni. Segnati dalla collaborazione coi nomi più prestigiosi: Fellini, naturalmente, e poi Rossellini, Pietrangeli, Dino Risi.

Era amata da tutti. Anche dai critici che a più riprese l’avevano tartassata nei favolosi anni ’60 (favolosi perché mai il nostro cinema è stato così importante). Mi piacerebbe dire: «L’ho vista prima io», ma non mi sbaglierei di tanto. Sandra aveva 24 anni quando infuocò i portici della mia cittadina Tortona scortata, o meglio esibita, da un concittadino, Decio Silla, che allora le faceva da manager. A noi provincialotti parve una delle più belle donne del mondo, cosicché quando arrivarono i primi successi gongolammo quasi fosse una compaesana (in realtà era nata a Tunisi nel 1933).

 

 

 

I successi si chiamarono Il generale della Rovere di Rossellini e Adua e le compagne” di Pietrangeli, entrambi presentati a Venezia. Una bella vetrina. Bella al punto da incoraggiare il produttore Moris Ergas, che allora era il suo compagno, a meditare un grande lancio internazionale, come quello di Sophia Loren. Il lancio doveva essere il dramma storico Vanina Vanini, diretto dal magno Roberto Rossellini. Un disastro. Sandra non era un’attrice drammatica (per qualche tempo la chiamarono Canina Canini), ma Rossellini non l’aveva capito. Per fortuna lo capì Fellini. Che la volle per il personaggio chiave di Otto e mezzo. Nel cast c’erano anche Anouk Aimee e Claudia Cardinale, ma la Milo era quella che inchiodava il film. L’impersonificazione, in scena, dell’ideale femminile felliniano. La donna tutta carne, sensi, disponibilità, che non pretende che tu sia quello che non sei, che non giudica. Mai.

 

 

 

Il sodalizio non poteva non avere una svelta replica. Che arrivò qualche anno dopo con Giulietta degli spiriti. Dove Sandra non era l’ideale di Fellini, ma semmai di Giulietta Masina. Un ideale irraggiungibile. La Milo rappresentava la donna totalmente disinibita priva di condizionamenti borghesi, un monumento di carne offerto a uomini e donne. Colla benedizione di Fellini nessuno negò più un posto a Sandra nel cinema italiano. Né in quello francese, dove la chiamarono a ripetizione (Cayatte la scritturò per un ruolo drammatico ne Lo specchio a due facce, e quella volta Sandra non fallì). Ormai Sandra era un’icona dell’Italia. Il che la salvò dal fare la sorte riservata a molte icone. L’archiviazione quando i 30 sono passati e la bellezza non può più essere quella esplosiva degli esordi. Il pubblico la riscopre quando si ripropone in tv. In Studio Uno dà prova di autoironia, celiando sulla sua immagine di maggiorata («Sono la superbionda di Studio Uno»).

 

 

 

Ma non si limita al sabato sera. Giovanni Minoli la vuole a Mixer. E poi si produce come mattatrice assoluta, su Rai 2, in Piccoli fans (la ricorderà come la trasmissione che l’ha appagata di più). È talmente nel cuore degli italiani che non le fanno mancare la solidarietà anche quando la sua vita è toccata dalla tragedia. Muore la madre dopo lunga pena, e Sandra dichiara di aver messo pietosamente fine alla sua agonia. Quaranta anni e passa anni fa. Uno dei primi casi di eutanasia che riguardi un personaggio famoso, e uno dei primi in cui questo si autodenuncia. Senza che si levi nessun rimbrotto o protesta. Nel 1989 un altro dramma, stavolta non annunciato. Sandra sta esibendosi nello show L’amore è una cosa meravigliosa quando qualcuno le comunica che il figlio Ciro ha avuto un incidente. Dicono mortale. La Milo attraversa lo studio urlando- «Ciro! Ciro!» - e la sua invocazione rimbalza sulla bocca di tutti. In realtà l’incidente non era affatto mortale.

Press’a poco alla stessa epoca mi passa davanti durante un festival di Venezia: «Però, fa ancora la sua figura». Pupi Avati è vicino, probabilmente pensa la stessa cosa e la chiama (chi può incarnare una padrona di pensione bolognese meglio di lei?). Pupi Avati e non pochi altri, nel trentennio successivo. Sandra Milo è rimasta non solo nel cuore, ma anche negli occhi fino all’ultimo. L’altra settimana l’abbiamo vista in Brave ragazze. E tutti abbiamo pensato che la brava ragazza l’avrebbe fatta ancora per altri novant’anni.

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