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Nancy Brilli: "Quando Sabrina Ferilli mi corteggiava con rose rosse"

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Sessant’anni vissuti "tutti e intensamente, con degli azzardi ma anche con coscienza e tanta energia". Ma nessun traguardo o tempo di bilanci, solo una gran bella "cifra tonda nella vita" per Nancy Brilli che si racconta all’Adnkronos alla vigilia del suo compleanno, il prossimo 10 aprile, e ripercorre le fasi importanti della sua vita: dalla morte della madre quando aveva 10 anni "un dolore che mi ha cancellato la memoria", alla nonna "non una seconda mamma ma una tutrice", al primo lavoro come attrice "fatto per guadagnare due soldi" fino alla svolta, dopo pochissimo, verso il successo "in questo mestiere che è stata la mia cura".

E poi l’amore: quello per gli altri "una cosa che mi definisce"  e quello romantico "oggi non ho un uomo" ma "ho una famiglia di cuore, molto meglio di quella di sangue che è un terno a lotto" Infine qualche aneddoto che ama ricordare con il sorriso, come quello di Sabrina Ferilli che "mi mandava rose rosse, come un corteggiatore galante per convincermi a fare la serie tv Commesse insieme a lei".

 

 

Sessant’anni, dunque, che oggi restituiscono una Nancy Brilli diversa, tanto diversa dalla bambina e dall’adolescente che era. "Da ragazzina avevo quasi paura della gente, stavo molto da sola, non avevo il permesso di uscire, non avevo tanti amici. Oggi - dice l’attrice - se voglio stare sola lo decido io, è una mia scelta. Ma se della mia infanzia non ho grandi ricordi, mi dicono fossi una bambina buonissima, sempre lì a disegnare, immersa nel suo mondo artistico, da adolescente ero molto agitata e sofferente. Fino a quando, a soli 19 anni, è capitato per caso il primo film, fatto solo perché mi davano soldi che mi avrebbero permesso di andare via da casa. Non pensavo - confessa - che sarebbe stato il mio lavoro. Ma l’avrei capito dopo poco, nel 1986, debuttando al Sistina di Roma nel musical ’Se il tempo fosse un gambero'", diretto da Garinei.

 

 

"Io mi ero iscritta all’Istituto superiore per le industrie artistiche e al Centro sperimentale di cinematografia dove mi avevano anche accettata, ma poi i registi hanno cominciato a chiamarmi e ho lasciato perdere il resto. Lì ho capito che fare l’attrice era il mio mestiere. Un mestiere che è stato la mia cura". Una cura necessaria e salvifica, dopo un dolore immenso, vissuto a soli 10 anni, con la morte della madre.  

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