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Alain Delon, un reazionario "maledetto" e un vero anticomunista

Andrea Morigi
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"Ma era un reazionario", commentano sui giornali della gauche e sui social dove lo mandano al diavolo come "facho". Non glielo perdonano, nenache dopo morto, di essere stato di destra. Solo che Alain Delon, che in vita fu il distillato del menefreghismo, ora ha ben altre realtà eterne da contemplare.

L'ultima raffica contro i suoi detrattoti laicisti e comunisti  l'ha sparato nel comunicato stampa con cui i figli Alain Fabien, Anouchka e Anthony annunciavano la sua dipartita: «Se n’è andato a raggiungere (la Vergine) Maria tra le stelle così care al suo cuore». Lo aveva confessato, all’età di 82 anni, in un’intervista a Paris Match, aprendo le porte della cappella dove voleva essere seppellito: «La mia passione è Maria. Perché amo questa donna, amo tutto quello che ha fatto. Evidentemente, se ne conosce di più il figlio, ma lui chi era davvero? A Maria, io parlo, le dico delle cose, le chiedo delle cose. Lei mi dà un sollievo, mi dà una compagnia che non ho, c’è sempre. Mi ascolta e mi conforta».

 

 

 

Nessuna crisi mistica, anche se è chiaro che l’approssimarsi della malattia lo aveva reso anche più sensibile al proprio destino soprannaturale. Non si trattava di una scoperta così recente, comunque, perché era stato educato nei collegi dei Fratelli delle Scuole Cristiane, che forse erano riusciti a piantare nella sua anima un seme fecondo, benché tardivo, della fede cattolica.

LA GUERRA

Certo che la pratica religiosa l’aveva persa presto per seguire un’altra presunta vocazione. A diciassette anni si era arruolato per l’Indocina, dove la Francia stava combattendo contro i vietcong, cioè i rossi. Confesserà di essere stato attirato dai manifesti a colori che invitavano i giovani a partire e dalla promessa di un premio in denaro, ma di aver dovuto ottenere il permesso dai genitori per vestire la divisa della Marina militare. Nel 1956 viene rispedito a casa dopo essere finito in cella per aver sottratto una jeep senza permesso e averla fatta ribaltare in una piantagione di riso. Si perde fra i bordelli di Pigalle, il quartiere a luci rosse di Parigi, prima di trovare la strada della recitazione.

Diviene famoso. Ma non al prezzo dell’adeguamento, né suo né dei personaggi che via via interpreta, alla cultura del Sessantotto che dilaga nelle università d’Oltralpe. Anzi, quando nel 1969 Charles de Gaulle si dimette da presidente della Repubblica francese, in seguito a una sconfitta referendaria, Alain gli scrive una lettera in cui gli si rivolge come a un padre della Patria: «Mio Generale, da sempre e ancor più da anni, ero, grazie a lei, fiero di essere francese. Stasera, davanti all’incoscienza e all’ingratitudine di più della metà di un popolo, avverto con spavento un sentimento di vergogna che mi spezza il cuore. Ci tenevo a dirvelo. Vogliate credermi, mio Generale, fedelmente e incondizionatamente vostro». Altre lettere, più imbarazzanti, sono scomparse dalla circolazione.

Una è del belga Léon Degrelle, comandante della divisione Waffen SS Wallonie. Su eBay è stata battuta a 1.600 euro. I due si erano conosciuti in Spagna, dove l’ex nazista, autore di Militia e Hitler per mille anni, si era rifugiato dopo la Seconda Guerra Mondiale per sfuggire all’accusa di collaborazionismo con i tedeschi. Nel 1975, Delon aveva oltrepassato i Pirenei per girare Zorro, una difesa della Spagna cattolica e imperiale, in cui l’eroe mascherato libera religiosi incarcerati in Messico. Paraticamente un’allegoria della Spagna franchista, mentre il caudillo Francisco Franco era ancora in vita. E lì Delon e Degrelle avevano posato per una fotografia insieme. Scandalo. In realtà, l’attore aveva preso le parti degli ebrei perseguitati dai nazionalsocialisti, nel film Mr Klein nel 1976.

ANGELO NERO

Ma continuava a essere l’Angelo nero, anche per via dell’amicizia con Jean-Marie Le Pen, fondatore del Front National e anch’egli ex combattente in Indocina. Glielo rinfacciano, come anche le sue posizioni a favore della pena di morte e contro l'omosessualità, che definisce «innaturale». Del resto, sapeva che cosa aveva da pardere. Alain non aveva bisogno del consenso degli intellettuali. Le femministe lo accusano di essere «razzista, omofobo e misogino» e protestano quando il Festival di Cannes, nel 2019, gli conferisce la Palma d’Oro alla carriera. Sarebbero cadute tutte ai suoi piedi, se solo Alain avesse voluto. Eppure, lui ha preferito la Madonna.

 

 

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