Enzo Tortora è sempre un caso aperto, nel senso che il dramma vissuto e subìto dal celebre presentatore negli anni ’80 è vivo tuttora come esempio di malagiustizia. Lo deve essere. Ad esempio di imperitura memoria. Tutti ricordano cosa successe nel giugno del 1983, precisamente il giorno 17, quando Tortora venne arrestato con l’accusa di legami con la Camorra, in particolare con la cosca di Raffaele Cutolo. Dopo i primi sette mesi di reclusione e la successiva concessione degli arresti domiciliari, nel 1985 i due pubblici ministeri del processo, Lucio Di Pietro e Felice Di Persia, ottennero la condanna di Tortora a dieci anni di carcere. In appello la sua innocenza fu dimostrata e riconosciuta tre anni dopo quel 1983: era il 15 settembre 1986. Eventi che portarono, secondo taluni, all’aggravarsi delle sue condizioni di salute: Enzo Tortora morì poi nel 1988 per una forma di tumore, un anno dopo la definitiva assoluzione. Una vicenda quasi surreale.
Ebbene, questo dramma umano è al centro del nuovo progetto che un grande regista qual è Marco Bellocchio, sensibile come pochi altri a tematiche sociali umane. ha iniziato a girare fra Roma e la Sardegna: una serie tv in sei puntate dal titolo quasi beffardo di Portobello, la trasmissione più conosciuta, gioiosa e di successo che Tortora condusse in Rai. Progetto del quale Bellocchio parlerà durante una masterclass all’Italian Global Series Festival.
L’occasione sarò l’atteso debutto di HBO, l’emittente televisiva statunitense via cavo e satellitare che è una costola del colosso Warner Bros, perla quale Portobello rappresenterà la prima produzione italiana originale di HBO Max, il servizio di streaming video on demand in arrivo nel nostro paese nel 2026.
L’ARRESTO
Nell’anteprima della serie visibile sul web è raccontato il momento più drammatico della tragica vicenda: l’arresto di Enzo Tortora, interpretato da un intenso Fabrizio Gifuni, avvenuto appunto il 17 giugno di 42 anni fa. La scena è raccapricciante, lo si vede al momento dell’uscita dalla caserma dei carabinieri dove è stato condotto subito dopo l’arresto, con le manette ai polsi, lo sguardo attonito, la folla dei cronisti e della folla urlante che lo condanna già. E lo insulta. Il mostro è sbattuto in prima pagina così, in modo impietoso.
Glaciale, Gifuni-Tortora lancia un appello ai giornalisti e ai cineoperatori della sua Rai: «Voi giornalisti italiani dovete stare proprio attenti a questa vicenda. Guardatela bene tutti», un monito gelido e disperato ma anche lucido che è solo l’inizio del suo calvario durato quattro anni. Sarà difeso da pochi colleghi- Pippo Baudo in testa e da un pugno di giornalisti Vittorio Feltri e Giorgio Bocca fra questi. In Portobello, Bellocchio inchioda lo spettatore a una domanda inevitabile: «Che giustizia è quella che distrugge prima di verificare?». Non assolve né giudica, racconta i giorni, i mesi, gli anni che hanno lacerato un uomo di successo come era Enzo Tortora con il colpo di scena finale dell’assoluzione prima della morte.
Accanto a Gifuni, nel cast figurano Barbara Bobulova, Alessandro Preziosi e Lino Musella.
Nella sceneggiatura spicca la mano di Bellocchio, pronto a riscrivere ancora drammi reali del nostro paese come fu il rapimento di Aldo Moro nell’agghiacciante film Esterno Notte e quello di Edgardo Mortara nel più recente Rapito. «Tortora ha subito una grande ingiustizia: arrestato, processato e condannato, è stato pienamente assolto solo dopo una lunga odissea giudiziaria», ha spiegato Bellocchio. «Era un combattente, ma la lotta lo ha fatto ammalare e morire». L’intenzione del regista non è trasformare Tortora “in un santo”, ma piuttosto «scavare in profondità nelle sfumature del suo carattere e della sua storia». Una rilettura doverosa r rigorosa di quello che rimane uno dei casi giudiziari più mancava. Per fortuna che c’è Marco Bellocchio.