«L'orrore, per essere davvero raccontato, va attraversato, non aggirato e la storia, per arrivare con chiarezza, senza sposare una tesi, deve cominciare dall'inizio». Così il regista Stefano Sollima (Romanzo criminale, Gomorra, Suburra) presenta la sua nuova serie tv Il Mostro svelando come ha deciso di raccontare l'inchiesta sul serial killer, mai identificato, capace di compiere di otto duplici omicidi, tra il 1968 e il 1985, nei dintorni di Firenze. Presentato in anteprima all'ultima Mostra di Venezia (e disponibile su Netflix in quattro puntate) è un prodotto che fa risaltare, ancora una volta, le qualità di sceneggiatore e regista di Sollima (che ha scritto la storia assieme a Leonardo Fasoli). Una scelta, quella di affrontare uno dei più grandi casi di cronaca nera italiana, che si preannunciava non facile da racchiudere in 4 ore, ma il risultato che ne scaturisce è ottimo. Il regista sceglie il primo (21 agosto 1968) perché «è dove tutto ha avuto inizio», come recita la scritta sullo schermo ad ogni omicidio inizio di puntata.
Lo fa in maniera sofisticata (ambientazione, fotografia e ricostruzione d'epoca) ma anche con un rigore da documentarista. Riesce ad unire la spettacolarità tipica di un regista di genere, con un occhio da fine antropologo. I continui salti nel tempo, per rappresentare i vari delitti, non appesantiscono una sceneggiatura che scorre via senza intoppi. L'idea di scegliere attori sconosciuti (bravi) è azzeccata. La storia che si sviluppa è ovviamente disturbante, non tanto per le scene violente (che ci sono, ma non sono mai gratuite) ma per l'atmosfera malsana che si respira. Simili, stilisticamente, a certe serie cult come Mindhunter, Dahmer o Utopia (l'originale inglese, non il remake Usa). Sollima parte dalla famosa pista sarda (l'inquietante famiglia di Natalino Mele, il bambino oggi 64enne, testimone oculare del primo doppio omicidio, oi “sinistri” fratelli Vinci), ma non è una scelta di campo e neanche giudiziaria.
Serie tv, la seconda vita dei libri riparte da lì
Negli ultimi anni il mercato editoriale ha assistito a un fenomeno sorprendente che ha cambiato il destino di molti libr...Il Mostro, per gli autori, si manifesta per la prima volta in quella terribile occasione. Si sceglie di raccontare il contesto in cui ha vissuto e agitato. Si illustra un microcosmo di tanta disperata umanità che ricorda più certe dinamiche animalesche che quelle del genere umano. Si descrive un mondo patriarcale, che sia il sud della Sardegna degli anni sessanta ola Firenze della metà dei settanta, inquietante e perverso. Il regista è bravo a non dare giudizi, non ha una tesi precostituita e, grazie ad un grande guizzo autoriale, fa terminare la fiction poco prima che Pietro Pacciani, ei suoi compagni di merende, venissero arrestati e poi processati. Decide così di concentrarsi sulle indagini dell'allora sostituto procuratore Silvia Della Monica, figura chiave nella prima fase dell'inchiesta, che rivela che «gli omicidi sono stati guidati da un odio palese verso le donne». Il serial killer, infatti, uccide sempre prima la donna e poi l'uomo. Fu proprio la Della Monica a capire che la scia di sangue degli anni Ottanta si collegava al primo delitto del 1968.
La serie punta dritto su quelle “radici”, svelando perversioni sessuali, ignoranza e ferocia brutale di una comunità maschile senza speranza. I dialoghi sono verosimili (metà dell'ultima puntata è recitata in dialetto sardo) e credibili. Il prodotto confezionato è così di grande qualità, grazie anche alla scelta di tornare indietro nel tempo, osservando come il male è esploso e come si è auto-alimentato. Sollina lo fa in modo crudo e realistico, da grande narratore e costruttore di immagini. Descrivendo un'Italia rurale, mai sfiorata dal boom economico. E, raccontando la vicenda giudiziaria sulla base dei procedimenti e delle indagini ancora in corso, fa nuovamente centro.

