Pierfrancesco Favino torna al cinema il prossimo 13 novembre come protagonista del film Il maestro diretto da Andrea Di Stefano. E stavolta l’attore più amato e “convocato” sui set dai registi italiani ha a che fare con le palle da tennis.
Maestro della racchetta nei panni del sedicente ex campione, Raul Gatti che instaura un rapporto molto bello e complesso col 13enne Felice che attraverso l’esperienza, (ma anche tante balle epocali) raccontate dal complicato mentore che gli è capitato in sorte, inizia ad affrontare le asperità dell’agonismo che poi sono le stesse, se non più difficili, che un giovane incontra pure fuori dai campi. Lo sa bene lo stesso Favino che, diretto appena due anni orsono dallo stesso regista nel ruolo di protagonista del film L’ultima notte di Amore e seppellito da una marea di nuovi impegni su tutti i fronti (Il maestro, poi Dio ride di Giovanni Veronesi. E poi lo spettacolo teatrale People, places & things, di Macmillan con debutto a Todi l'8 febbraio di cui Pier curerà la regia) arriva sollecitato dalla stampa- addirittura a negare l’esistenza dei “circoletti” di bravi attori - come lui indubbiamente è- chiamati a recitare in maniera compulsiva, risultando così iper presenti sul grande schermo.
ETERNO PROTAGONISTA
Tanto che, secondo l’eterno protagonista di tutti i più importanti film italiani degli ultimi anni, quelle “conventicole” già denunciate più di vent’anni fa dal parossistico personaggio interpretato da Sergio Castellitto nel film Caterina va in città, in realtà non esistono affatto e sono, anzi, una sorta di alibi psicologico per chi ne subisce di più gli effetti negativi: i volti nuovi e i lavoratori più deboli del settore. Insomma come dire: cornuti e mazziati.
Peccato che i fatti (e le stesse dichiarazioni di questi giorni dell’attore romano) dimostrino in realtà davvero l’esatto opposto. Una disdicevole contraddizione che segna un vulnus anche nella credibilità di questi grandi volti, ben diversa dalla «fiducia che poi il pubblico ricambia», utilizzata da Favino come consolatoria auto-assoluzione. Tutto ciò appare, infatti, una volta di più grave; considerando proprio la stagione di incognite, prossime alla crisi, che rischiano di abbattersi sulle produzioni cinematografiche di casa nostra. In special modo sulle più piccole, quelle indipendenti, difese a parole nelle piazzate messe in scena proprio da loro, i talenti di punta che rispondono ai nomi dei vari Elio Germano, Valerio Mastandrea, Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Anna Foglietta, Alba Rohrwacher, Edoardo Leo, Alessandro Gassmann e certamente pure (e non certo per ultimo) Pierfrancesco Favino, da anni ormai l’attore più ricercato, chiamato e presente sui set italici. Ma perché negare una così palese evidenza? E soprattutto perché farlo addirittura di fronte alla stampa “amica” come Repubblica, non certo ostile al mainstream cinematografaro e alla sua litania pietosa (e a questo punto viene da dire anche un po’ pelosa) per i lavoratori meno fortunati del settore?
L’unica spiegazione che riusciamo a darci è di un Favino probabilmente ancora incastrato negli scomodi panni del maestro tennista contaballe. Che addirittura, sempre sulle colonne di Repubblica, si lancia in una vera e propria excusatio non petita per giustificare la sua allure retorica e spiegare come in realtà lui, proprio lui, “i circoletti” li abbia in realtà patiti. «Io non ho mai preso un ruolo a una cena, sempre ai provini. Vale per tutti i mestieri». Qualcosa di cui, visto il suo chiaro talento, nessuno crediamo abbia mai dubitato. Tanto che, nel novero di impegni, il Favino spremuto ha addirittura dimenticato il bel film Enzo pellicola girata oltralpe e uscita in pieno agosto, lidi dove finora aveva osato per lo più l’intellettuale (pure lui iper presente) Accorsi.




