Torna in tv con la conduzione di Zelig on con che spirito?
«È una felicità immensa. Casa mia, così sento Italia 1. Sono molto corporativo. Parlavo con qualcuno di Mediaset e raccontavo di sentirmi come quel bambino di Dream On, nel 1988, che guardava sempre la tv. Mi facevo venire la febbre per vedere i quiz, Vianello, Corrado Mantoni lo ho tatuato».
In questi anni la comicità è cambiata?
«No. La comicità è una dei più grandi antidoti al male, è un farmaco sociale. Faccio sempre questo esempio: Charlie Chaplin faceva Charlot, un uomo coi baffetti, mentre in Europa un altro uomo con i baffetti sterminava la gente. La cosa più volgare è il politicamente corretto, ricorda tempi duri e dittature. Ora l’ondata è un po’ cambiata».
Si può scherzare davvero su tutto?
«Sono di Livorno, dove si dice: “se su qualcosa non ci si scherza c’è qualcosa che non va”. Non puoi scherzare sulle cose pericolose. Quindici anni fa, tenevo una convention, tra le tantissime persone c’era un ragazzo Down. Io scherzavo su tutti, o quasi. Alla fine lui è venuto da me, domandandomi: ma perché non mi hai preso in giro? Aveva ragione. Escludere qualcuno dallo scherzo è la prima forma di razzismo e di ghettizzazione”.
Ma lei che limiti si pone?
«Ovviamente ci vuole sensibilità. Se si scherza su un pelato, magari, bisogna pensare se è solo pelato o è malato e fa la chemio. Un comico deve maneggiare i sentimenti. Poi c’è il limite del diritto. Se offendo Alessandra, Alessandra mi querela, anche se i tribunali hanno di meglio da fare. C’è stato un momento che con i social la gente si è trovata davanti a questa grossa possibilità. Come diceva Spiderman, da un grande potere deriva una grande responsabilità. Nel momento in cui ognuno ha potuto dare un giudizio, la comicità ha avuto una botta».
In che senso?
«Il clown è facile da “struccare”. Immagina di essere al cinema e vedere un film comico. E dietro di te, uno a voce alta, dice: non fa ridere. Gela tutto. I social hanno incrementato questo. Il sorriso sussurra, l’ignoranza urla». .
Parla con i bambini e con le persone con la sindrome di Down in modo dolcissimo e disarmante.
«Non sono stato il primo, ma sono andato al di là di Chi vuol essere Peter Pan di Paolo Bonolis. A teatro in Il Baby Sitter chiedo a un bambino chi è Dio, parliamo della separazione dei genitori, di felicità. Mi commuovo spesso. Puoi fare un uso sociale dei social, che hanno il vantaggio di non avere un editore. Nei social non c’è solo fango, melma, palude, ma anche cose buone...».




