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Le Iene, "la violenza che ho subito": altro tsunami sul programma di Italia 1

Claudia Osmetti
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«È proprio il metodo de Le Iene ad essere sbagliato. Nei loro servizi il fatto di cronaca diventa la reazione scomposta del soggetto che vogliono intervistare e che, per questo, quasi braccano in strada o sotto casa o dove riescono. Facendo così finiscono per "crearlo", però, il fatto. E non si limitano a riferirlo come dovrebbe fare il giornalismo d'inchiesta».

Davide Steccanella è un avvocato di Milano che conosce bene quello che lui definisce «il metodo Le Iene» perché neanche un anno fa ha vinto una causa contro una di loro, Luigi Pelazza. Pelazza era stato condannato a due mesi di carcere (pena successivamente commutata in una multa di 15mila euro) per essersi introdotto nel cortile del palazzo della giornalista Guia Soncini tempestandola di domande e impedendole pure di entrare in casa sua. Parlantina veloce e precisa, Steccanella lo ammette subito: «Non si è trattato né del primo processo né dell'unico del suo genere. Sintomo che non abbiamo davanti un'eccezione, ma un metodo consolidato».

Avvocato Steccanella, era il 2010. C'entravano delle fotografie private scattate durante una festa a casa della showgirl Elisabetta Canalis, c'erano diversi vip coinvolti, un procedimento ancora aperto a Milano. Cosa avvenne?
«Le Iene fecero il loro classico servizio. Braccarono Guia Soncini, che all'epoca era la mia assistita, fingendosi dei corrieri e introducendosi nel cortile del suo palazzo. A questo punto, quando lei entrò, poveretta, si chiuse la porta dietro le spalle e rimase bloccata. Non poteva né uscire sulla strada né entrare nel suo appartamento.
Fu costretta a subire l'intervista finché non chiamò la polizia».


Urca, addirittura "subire"...
«È proprio questo il punto. Non si può obbligare una persona a farsi sottoporre a un'intervista se non ne ha voglia. Va bene il diritto di informare, ci mancherebbe altro. Ma la libertà di un cittadino è inviolabile. Lo sa cosa scrisse il giudice su quella condanna?».


Cosa?
«Contestò la violenza privata. Non la diffamazione che è un reato, diciamo così, più affine al mondo del giornalismo. Ma la violenza privata. Disse, in pratica, che non si può costringere qualcuno a rilasciare un'intervista e che è un diritto anche il non voler rispondere a certe domande. Tra l'altro in quell'occasione c'era un processo ancora in corso, era legittimo che Soncini decidesse altrimenti. Guardi che l'alternativa è solo fingere».

Prego? In che senso?
«In una situazione così uno non sa più cosa fare. Vedi che arrivano e pensi: "Cribbio, preferirei non parlare, ma se non lo faccio mi sbertucciano in qualche modo in televisione" e allora fingi e fai il gentile. No, non può funzionare in questo modo. È un sistema molto furbo, d'accordo. Ma non può funzionare così. E inaccettabile».

Perché?
«Il loro è un modo di fare tivù che ha sempre avuto un notevole successo, e questo è indubbio. Ma è un metodo spregiudicato e che deve essere regolato, altrimenti di cosa stiamo parlando? Provocano così perdi le staffe e sembri un isterico. Poi quello che va in onda è solo una parte».

La classica punta dell'iceberg?
«In quel caso il servizio non faceva vedere tutta la fase provocatoria e impedente, quella era stata tagliata. E il risultato fu che la mia cliente passava per quella che si voleva sottrarre alla volontà di fare chiarezza col pubblico. Non era vero».

Ha visto l'ultima bufera che si è sollevata? Roberto Zaccaria, il signore di 64 anni di Forlì che si è suicidato la settimana scorsa?
«Si tratta di un episodio avvilente e che ho trovato proprio brutto. Il problema è che quell'insistenza, quel voler "stalkerizzare" fino all'inverosimile, può indurre chi è debole a commettere gesti anche estremi. Ora però io non voglio incolpare nessuno e men che meno Le Iene, per la morte tragica di due persone, come quelle che abbiamo letto in questi giorni».

Certo, la procura dell'Emilia Romagna ha aperto un'inchiesta, al momento contro ignoti. Ci penseranno i magistrati a fare chiarezza...
«È il loro lavoro. Io mi limito ad aggiungere che questo modo di spettacolizzare le notizie è anche significativo del momento culturale che stiamo vivendo. Però il dovere di chi fa televisione è anche "educare", o comunque di non lasciare spazio agli istinti più voyeuristici del pubblico. Sennò è la fine».

Insomma, quello che gli americani chiamano "infotainment", l'informazione che fa spettacolo, ha un limite?
«Ovviamente. Immortalare il vip o la persona più o meno famosa in un momento di difficoltà, in una situazione di imbarazzo in modo che reagisca e magari risponda male solo per dimostrare che è un maleducato non ha niente a che vedere con la cronaca».

Ma lei lo guarda Le Iene?
«Lo guardavo. Mi piaceva anche. Però dopo l'esperienza in tribunale con questo caso ho capito che il metodo che usano è proprio quello e no, adesso non mi piace più». 

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